venerdì 31 ottobre 2014

Comunicare la separazione ai figli


Sta per uscire, per la Giraldi Editore, il libro scritto dalle Mediatrici familiari Michela Foti (Avvocato) e Camilla Targher (Pedagogista) intitolato: Comunicare la separazione ai figli. Dall’affidamento condiviso alla bigenitorialità passando per la mediazione familiare.

Alla luce degli attuali mutamenti che stanno investendo e trasformando la società e le relazioni sociali, inclusa l’idea stessa di coppia, di matrimonio e di genitorialità, questo libro indaga il passaggio cruciale in atto e vuole essere una guida alle coppie con figli che hanno deciso di intraprendere il difficoltoso cammino della separazione e un supporto concreto per gestirne adeguatamente le conseguenze emotive, organizzative, sociali, giuridiche ed economiche.
Le autrici trattano di affidamento condiviso, mediazione familiare e bigenitorialità, spiegando come un approccio adeguato alla separazione, nell’ottica primaria del benessere dei figli, possa aiutare grandi e piccoli a rielaborare l’evento separativo, con benefici a breve e a lungo termine, riducendo il conflitto e le conseguenze negative che un evento tanto delicato può comportare.
Il libro suggerisce dei pratici consigli su come comunicare la separazione ai figli, tenendo conto della loro età, delle loro caratteristiche e dei cambiamenti che stanno avvenendo in famiglia. Contiene inoltre La favola di Puledrino, con immagini da colorare, che potrà essere d’aiuto ai figli nel comprendere meglio la situazione e ai genitori nel comunicarla nel modo più costruttivo possibile.

A tal proposito, con grande piacere riportiamo questo articolo, pubblicato sul sito di Bimbò – bambini da vivere, nel quale indichiamo i 10 punti fondamentali su come affrontare il tema della separazione con i figli:

“Quando i miei genitori si sono separati, negli anni ’80, è stato un momento delicato. Anche se sono passati ormai tanti anni ricordo perfettamente dove ero e le parole che ha usato mia mamma per dirmelo. Decidere di separarsi è un momento difficile ed importante per tutta la famiglia. Per questo abbiamo deciso di pubblicare alcuni consigli di Camilla Targher e Michela Foti, co-autrici del libro che vedi in copertina Comunicare la separazione ai figli. Buona lettura e spero che a qualcuna di voi sia in qualche modo d’aiuto.
Decidere di separarsi non è semplice. Si tratta, generalmente, di una scelta difficile e sofferta, che rappresenta l’inizio di un periodo impegnativo da affrontare, per gli adulti e per i bambini. Dal modo in cui la separazione viene affrontata dipende molto del futuro benessere nostro e dei nostri figli; per questa ragione, oltre alle decisioni riguardanti gli aspetti tangibili (casa, assegno, ecc.) e quelli organizzativi (calendario frequentazione, ecc.), uno dei compiti più delicati per i genitori è comunicare ai propri figli la decisione di lasciarsi.

Ci troviamo solitamente impreparati su come affrontare l’argomento e capita spesso che non si dica nulla fino a quando non possiamo più evitarlo. In realtà, i bambini percepiscono che in casa qualcosa non va, che mamma e papà sono diversi, ma non hanno elementi certi a disposizione per capire cosa sta succedendo.

I genitori rivestono un ruolo fondamentale nell’aiutare i figli ad affrontare il cambiamento e adattarsi alla nuova realtà familiare, per questo la modalità con la quale si comunica ai figli la decisione di separarsi deve tenere in considerazione alcuni fattori fondamentali:

1) Un verità a portata di bambino: offrire una spiegazione semplice e adeguata all’età, evitando di temporeggiare, di alimentare false speranze o di accusare l’altro genitore;

2) Genitori per sempre: al bambino non interessa capire perché i genitori si sono lasciati (tanto sono cose da grandi!), ma percepire (a parole e nei fatti) che il loro amore nei suoi confronti non cambierà;

3) Chi lo comunica: la decisione di separarsi va comunicata insieme, in modo tale che il bambino senta di poter continuare a contare su entrambe i genitori;

4) Cosa dire: le parole vanno adattate all’età del bambino e alle decisioni prese riguardo al futuro, così da prepararlo, pur con le dovute rassicurazioni, al cambiamento (due case, due stanze, ecc.);
5) Come dirlo: scegliere un momento tranquillo in cui parlare, ma soprattutto ascoltarlo e rispondere alle sue domande, rassicurandolo sul fatto di non avere alcuna responsabilità in merito;

6) Quando dirlo: lasciare un margine di tempo adeguato fra la comunicazione ed il momento in cui uno dei due lascerà la casa, evitando la concomitanza con altri cambiamenti importanti (introduzione di un nuovo partner, arrivo di un fratellino, inserimento a scuola, ecc.);
7) Dove dirlo: scegliere un ambiente rilassato e familiare, come il salotto o la cameretta, ossia un luogo significativo dove ognuno possa sentirsi a proprio agio;

8) Rispettare il suo dolore: anche se un genitore non vorrebbe mai vedere il proprio figlio soffrire, e
comprensibile che possa essere triste, arrabbiato, o apparentemente indifferente; dobbiamo dargli la possibilità di esprimersi, capire e rispettare il suo dolore;

9) Nuova organizzazione familiare: informarlo sui dettagli relativi alla nuova organizzazione familiare, mantenendo nei limiti del possibile gli stessi ritmi (come andare all’asilo tutte le mattine) e gli stessi riti (come fare il bagnetto prima della nanna);

10) Bigenitorialità: sviluppare un senso profondo e condiviso di responsabilità genitoriale, garantendo al figlio la possibilità di mantenere e rafforzare relazioni significative con ciascun genitore.

La comunicazione della separazione rappresenta l’inizio del cambiamento, il momento in cui le decisioni si concretizzano, dando una svolta fondamentale e decisiva alla vita di ognuna delle persone coinvolte.
Rappresenta la possibilità di deporre le armi, di costruire un rapporto diverso fra adulti e di collaborare per il bene dei propri figli, perché essere genitori non è qualcosa che si dissolve con la fine del rapporto di coppia, ma che prosegue per tutta la vita.”

giovedì 2 ottobre 2014

Creare un gruppo affiatato


Una domanda che mi viene spesso posta da Imprenditori, Dirigenti e Quadri è come “fare gruppo” fra persone che non si sentono un gruppo e se esista una sorta di formula magica per passare in un istante dalla non-collaborazione al team affiatato e produttivo.

Molto è stato scritto sull’argomento in qualsivoglia libro che parli di management, spesso con consigli apparentemente miracolosi e carichi di effetti speciali (dalle tecniche di persuasione, alla formazione iper-ultra-mega-motivazionale ecc.), i cui benefici però, dopo l’iniziale effetto spumeggiante da carica adrenalinica, svaniscono in genere dopo poche settimane (o, peggio ancora, dopo pochi giorni…) lasciando il campo libero a delusione, diffidenza, demotivazione. Come si fa, quindi, a creare un team che sia davvero affiatato e motivato?

In realtà, la creazione di un gruppo che si senta veramente gruppo è uno dei compiti più impegnativi per chi ricopre ruoli dirigenziali, perché sentirsi gruppo è un qualcosa che non si può imporre o creare con poche e semplici azioni; al contrario, richiede impegno e attenzione costante, pertanto avrà la possibilità di nascere e durare nel tempo soltanto se le persone che ne fanno parte verranno gradualmente invogliate, abituate e sostenute nel sentirsi un gruppo.

Molti sono i fattori che determinano il successo - o l’insuccesso - nella gestione di un gruppo. Vediamo i principali:
  • coerenza al vertice (come posso ottenere un team affiatato se un socio dice sempre bianco e l’altro dice nero? Se un giorno dico A e il giorno dopo faccio B?)
  • condivisione degli obiettivi aziendali e/o di reparto (avere un’idea il più possibile chiara ed aggiornata di come sta andando l’azienda e di dove si intende arrivare)
  • chiarezza dei ruoli all’interno del gruppo (definire struttura e regole di base, pena il caos)
  • stile di leadership di chi coordina il gruppo (caratteristiche, capacità e carisma di chi è chiamato a fare da guida)
  • intelligenza emotiva (la capacità di conoscere le proprie emozioni e di riconoscere quelle altrui)
  • organizzazione del tempo (pianificare e gestire correttamente le attività strategiche)
  • comunicazione dentro e fuori l’azienda (imparare a relazionarsi con gli altri)
  • valorizzazione delle differenze (la diversità può essere un elemento altamente arricchente)
  • brainstorming e coinvolgimento diretto (una scelta “partorita” insieme contiene il meglio dei vari punti di vista e, soprattutto, non è imposta unilateralmente)
  • team building e occasioni di incontro variegate (si può lavorare insieme assiduamente, con un pizzico di leggerezza: divertimento e lavoro sono un binomio possibile)
Ci sono, inoltre, altri fattori da tenere in considerazione, quali ad esempio la grandezza del gruppo (da quanti individui è composto), da quanto tempo le persone ne fanno parte (gli ultimi inseriti devono avere il tempo di instaurare nuove relazioni), lo scopo per il quale è stato creato (permanente, per un progetto specifico, ecc.), la varietà delle persone che lo compongono (ruolo, formazione, ambizione, età, provenienza, ecc.), nonché la frequenza delle occasioni di incontro.

I fattori in gioco, come abbiamo visto, sono molteplici e fanno tutti parte della famosa cassetta degli attrezzi contenente gli strumenti e le abilità fondamentali per chi gestisce altre persone. Ci vogliono impegno, determinazione e dedizione, perché sono le tante piccole azioni concrete che mettiamo in campo quotidianamente che ci permettono di andare nella direzione giusta, insieme.