giovedì 14 giugno 2012

gratta e perdi


Nei giorni scorsi ho letto alcuni dati che mi hanno fatto riflettere. Nel 2011 il fatturato del mercato legale del gioco in Italia è stato pari a 79,9 miliardi di euro (senza contare altri 10 miliardi di euro circa di fatturato illegale). Una cifra importante, che vede l’Italia al primo posto in Europa e al terzo nel mondo tra i Paesi che giocano di più, un Paese nel quale in media ogni persona (neonati compresi) spende 1260 euro all’anno nel gioco.
Un fatturato che è 16 volte superiore a quello di Las Vegas ed è destinato a raggiungere gli 80 miliardi stimati nel 2012 grazie alle 400mila slot machines presenti nel nostro Paese, cioè una “macchinetta mangiasoldi" ogni 150 abitanti. Siamo circondati da giochi a risultato in tempo reale: bar, tabaccherie, perfino le aree di servizio in autostrada ti propinano giochi a vincita immediata. Non riesci più a berti un caffé in santa pace, senza che il barista di turno provi a rifilarti un gratta e vinci. “No grazie, voglio solo un caffé” è la mia risposta, ma basta fermarsi in prossimità della cassa per alcuni minuti per osservare come tante altre persone, insieme al caffé, acquistino uno, due, cinque, dieci biglietti (con conseguenti facce lunghe per non aver vinto nulla… neanche stavolta!).
La crisi aumenta, le aziende chiudono, ma l’industria del gioco non conosce rallentamenti, anzi con la crisi cresce. Sono già 5000 le aziende attive nel settore, con un’ampia offerta di tipi di gioco: dai nuovi Win for Life alle slot machines, dai video poker alle scommesse, senza contare il boom inarrestabile dei giochi on-line.
Una diffusa tendenza al gioco di fatto sostenuta anche dalla pubblicità, che invece che evidenziarne le reali conseguenze, prospetta facili quanto improbabili rivincite sociali, alleggerendosi la coscienza con un semplice invito a “giocare responsabilmente” a fine messaggio.
Le conseguenze vere, però, sono altre: 800.000 sono le persone con forme di dipendenza da gioco d’azzardo e quasi due milioni i giocatori a rischio. Sì perché il gioco d’azzardo è una vera e propria malattia, anche se in Italia la dipendenza dal gioco non è ancora considerata una patologia a tutti gli effetti (nonostante ammalarsi costi allo Stato circa 38.000 euro l'anno per ogni giocatore patologico), ma in realtà andrebbe curata come qualsiasi forma di dipendenza, pericolosa proprio per la facilità di ricaduta.
Sicuramente il clima generalizzato di incertezza e di sfiducia può portare a credere che rimboccarsi le maniche per migliorare il proprio status non sia sufficiente e sicuramente non lo è, ma è comunque necessario e indispensabile se non vogliamo che sia il caso a governare le nostre vite, a decidere da un giorno all’altro se dobbiamo essere tristi oppure felici. La felicità (e i soldi) si conquistano un passo alla volta, con tenacia e con costanza nel tempo, e se è vero che non abbiamo molte certezze una cosa almeno è sicura: se consideriamo il gioco come l’unica possibilità di riscatto per una vita migliore, abbiamo perso in partenza.