martedì 14 dicembre 2010

se fai il Manager ti sposo

In uno studio pubblicato sul Journal of Police and Criminal Psychology, Michael Aamodt e Shawn McCoy della Radford University, Virginia, hanno stilato una classifica delle 15 professioni che mettono in pericolo la durata di un matrimonio e che spesso portano al divorzio.
Per farlo i due studiosi hanno esaminato attentamente i dati Census relativi ai matrimoni e divorzi negli Stati Uniti correlandoli a 449 differenti professioni. Fra i risultati della ricerca, alcuni sono meno sorprendenti in quanto rispecchiano il credo popolare, cioè che i meno affidabili siano ballerini e coreografi con un tasso di divorzio che supera il 40%, ma nella top 10 dei divorziati USA, sia uomini che donne, troviamo anche i baristi, chi lavora al casinò, seguiti da operatori telefonici, infermiere e badanti.
Qual è dunque l’uomo giusto da sposare? La ricerca americana non lascia dubbi: i migliori partiti sono il Manager e l’Ingegnere. Non importa che il settore sia quello energetico, informatico o commerciale: l’uomo in carriera dimostra di saper tenere ben saldo sia il proprio lavoro che il proprio matrimonio. Tra i più fedeli troviamo anche medici, oculisti e membri del clero (quelli ai quali è concesso sposarsi). 
Certo, lo studio è stato condotto negli Stati Uniti, quindi non è detto che i risultati rispecchino totalmente anche il nostro contesto. Inoltre il censimento é stato svolto in un lasso di tempo relativamente ristretto, per cui la ricerca non permette di capire se una data professione possa favorire il divorzio oppure se sono gli individui più inclini alle relazioni stabili che scelgono di svolgere determinati lavori.

 Una cosa però è certa: soddisfazione, stabilità e ambiente di lavoro sono tutti elementi legati alla propria professione che si ripercuotono inevitabilmente anche sulla vita di coppia
Quindi da oggi in poi la domanda da un milione di dollari non sarà più che tipo di relazione vuoi, ma… che lavoro fai?

giovedì 25 novembre 2010

il silenzio degli in-dipendenti

Oggi, più che mai, la comunicazione è diventata un elemento centrale dell’attività lavorativa. Indipendentemente dal lavoro che facciamo, noi comunichiamo. Con i soci, con i responsabili, con i colleghi, con i clienti, con i fornitori, noi comunichiamo.
La comunicazione, infatti, è lo strumento che ci consente di farci conoscere, di rapportarci agli altri, di entrare in relazione e di influire sull'ambiente circostante. Sul lavoro ci permette inoltre di far capire le nostre esigenze, di ampliare le nostre conoscenze e di crescere professionalmente.
Ben  si comprende, allora, come una buona comunicazione all’interno dell’ambiente lavorativo sia fondamentale, considerando che vi si trascorrono almeno otto ore al giorno, per cinque giorni alla settimana. Al contrario, lavorare in un ambiente dove la comunicazione è problematica e dove i rapporti interpersonali sono stressanti, fonti di conflitto e incomprensioni, a lungo andare logora e influisce negativamente sia sulla sfera sociale, compromettendo il nostro equilibrio psicofisico, sia su quella strettamente lavorativa, rendendoci più insicuri e meno produttivi.
Una comunicazione fluida e positiva, però, non è sempre scontata. Capita spesso, infatti, e non solo quando si è all’inizio di un incarico professionale, ma anche dopo una consolidata esperienza lavorativa, di trovarsi in situazioni in cui si ha bisogno di aiuto. 
Ma capita altrettanto spesso di essere riluttanti a chiederlo. Le ragioni sono tante: imbarazzo nel mostrare di non aver capito, disagio nei confronti di un superiore che ci mette in soggezione, paura di deluderne le aspettative, timore di fare brutta figura, desiderio di mostrarsi in-dipendenti.
Sicuramente conta molto anche il modo in cui un superiore si rivolge ai propri collaboratori. Anche in questo caso, infatti, sono molteplici i fattori che influiscono sul buon esito di una conversazione: la fretta innanzitutto (non abbiamo mai tempo per niente, figuriamoci per spiegare per l’ennesima volta come svolgere un compito), parlare velocemente, usare un linguaggio troppo tecnico, non assicurarsi che il nostro interlocutore abbia realmente capito, mostrarsi distratti, preoccupati o pensierosi.
A proposito di “Cosa pensa e cosa intende fare davvero il capo-ufficio?”, un'indagine statunitense realizzata dalla Lynn Taylor Consulting ha calcolato che i dipendenti passano circa 20 ore alla settimana a interrogarsi su quello che pensa realmente il loro capo, evidenziando così le sottili implicazioni che nascono dai rapporti gerarchici all’interno di un’azienda, oltre all’elevato consumo di tempo e di energie che il modo di porsi di un manager o di un titolare possono causare sul personale.
Risulta quindi chiaro come, se da una parte un ruolo fondamentale lo gioca la personalità del singolo collaboratore, che soprattutto se è timido e riservato può avere maggiori difficoltà nel rivolgersi ad un superiore per chiedere spiegazioni, dall’altra parte riveste un ruolo altrettanto fondamentale il modo che titolari, responsabili o anche semplicemente colleghi più “anziani” hanno di porsi di fronte a chi avrebbe bisogno del loro aiuto.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono le conseguenze di una comunicazione insufficiente sul lavoro. Le conseguenze per il singolo sono, nel medio e lungo termine: perdita di tempo e di energie, calo di autostima e di concentrazione, malessere fisico, scarsi progressi, minor produttività (che è direttamente connessa con l’emotività), aumento del numero di permessi dal lavoro e di assenze per malattia, poca soddisfazione, scarsa fidelizzazione. Le conseguenze per l’azienda: prodotti di scarsa qualità, personale poco qualificato, poco produttivo e poco motivato, ritardi nella consegna del prodotto/servizio, clientela insoddisfatta che si rivolge alla concorrenza, maggiori spese, minori guadagni e conseguente riduzione degli utili.
Sembra fantascienza, ma in realtà una scarsa comunicazione in azienda è una situazione piuttosto comune, anche se spesso non ci rendiamo conto di che cosa questo comporti davvero per il singolo e per l’azienda stessa. In realtà, per ovviare a questa situazione basterebbero alcuni piccoli, quanto fondamentali, accorgimenti. Quando inseriamo una nuova risorsa in azienda, cambiamo ruolo o promuoviamo un dipendente, assicuriamoci di chiarire bene quali saranno i suoi compiti e cosa ci aspettiamo che ottenga. Mettiamolo a proprio agio e rafforziamo il suo lavoro con l’ausilio di un mansionario, contenente indicazioni precise. Assicuriamoci che qualcuno con più esperienza di lui lo affianchi e sia pronto ad accompagnarlo verso una piena autonomia. Programmiamo assieme a lui un percorso di formazione, verifichiamone i progressi e, all’occorrenza, aggiustiamo il tiro.
Rimaniamo a sua disposizione per qualsiasi chiarimento, anche perché una richiesta di aiuto altro non è che una manifestazione della voglia di imparare, di mettersi in gioco, e questa è la strada per diventare veramente in-dipendenti. Rivolgere una domanda è sintomo di stima e di fiducia nel nostro interlocutore, è riconoscergli il fatto di saperne di più, di poterci insegnare qualcosa di importante.
Alla luce di queste considerazioni appare chiaro come, facendo del dialogo e della comunicazione una pratica quotidiana, non solo renderemo i nostri collaboratori più performanti, ma contribuiremo a rafforzare le dinamiche di gruppo e a creare un ambiente di lavoro più sereno e produttivo.
E’ in gioco il nostro benessere personale e quello della nostra azienda. Perché l’armonia, quando c’è, fa stare meglio. Tutti.
Articolo di Camilla Targher, pubblicato sul Magazine Migliorare Anno II n. 4, 2010

venerdì 12 novembre 2010

scuse improbabili bis

Dopo aver passato in rassegna le 10 scuse più improbabili che i datori di lavoro americani si sono sentiti raccontare dai collaboratori nel 2010, vi riporto un’altra carrellata di scuse bizzarre che hanno caratterizzato il 2008 e 2009 e che riguardano non solo le assenze, ma anche le giustificazioni per i ritardi con cui si arriva il mattino al lavoro.

Queste, a mio avviso, le più degne di nota:
- Il termosifone non funzionava e sono dovuto rimanere a casa per riscaldare il mio serpente

- Mio marito mi ha nascosto le chiavi della macchina prima di andare al lavoro

- Dovevo andare al bingo

- Sono stato aggredito da un procione e ho dovuto fermarmi in ospedale per controllare che non mi avesse trasmesso la rabbia

- Ho camminato su una ragnatela appena fuori dall'uscio di casa e non sono riuscito a trovare il ragno,  così ho dovuto rientrare in casa e rifarmi la doccia

- Ho donato troppo sangue

- Stamattina presto ho avuto un infarto al cuore ma ora sto benone

- Ho ingoiato troppo dentificio lavandomi i denti

- Ho urtato un tacchino mentre andavo in bici

- Mia moglie mi ha bruciato tutti i vestiti e non sapevo cosa mettermi per venire a lavoro



Certo, non vi è dubbio che queste scuse siano oltremodo divertenti e fantasiose, ma questo non significa necessariamente che ai datori di lavoro piaccia sentirsi presi in giro. Anzi, negli Stati Uniti alcune di queste scuse hanno portato addirittura al licenziamento! 
Pertanto il mio consiglio è: siate sinceri e dite, in totale trasparenza, qual'è il motivo della vostra assenza. Non vi prometto che il vostro titolare capirà, ma sicuramente apprezzerà (a patto che non succeda più)!

venerdì 5 novembre 2010

scuse improbabili

Dopo aver passato in rassegna una carrellata di risposte discutibili date da candidati che ho incontrato negli anni durante vari colloqui di selezione, passiamo ora a quelle che possono essere le scuse più improbabili utilizzate da chi il lavoro ce l’ha, ma quel giorno proprio non ne vuole sapere.
Ovvio, i motivi per non recarsi al lavoro possono essere reali e a volte anche gravi, ma leggendo questa ricerca condotta dalla Careerbuilder.com negli States, il sospetto che in questi casi si tratti di una scusa palesemente inventata e inverosimile è quantomeno plausibile!
Fra i circa 2400 datori di lavoro intervistati sul fenomeno dell’assenteismo, questa è la classifica delle giustificazioni più improbabili e divertenti che si sono sentiti raccontare dai loro collaboratori:
1° posto: una gallina ha aggredito mia madre
2° mi è rimasto intrappolato il dito in una palla da bowling
3° non posso presentarmi in ufficio perché non è riuscito bene il trapianto di capelli
4° mi sono addormentato sulla scrivania mentre lavoravo e ho sbattuto la testa ferendomi il collo
5° una mucca ha fatto irruzione in casa e ora devo attendere l’assicuratore per valutare i danni
6° ho litigato con la fidanzata e lei ha buttato dalla finestra il mio amato Sit n Spin (un giocattolo anni’70)
7° non riesco a camminare perché sono finito col piede nel tritarifiuti
8° l’impiegato che ha chiamato il capo dal pub alle 5 di pomeriggio, dicendo che l’indomani sarebbe stato malato
9° non vengo perché oggi non mi sento troppo intelligente
10° devo tagliare l’erba del prato per evitare un’azione legale da parte dei proprietari di casa

mercoledì 27 ottobre 2010

colloquio di selezione: 10 modi per non essere scelti!


Nella mia esperienza di Consulente, mi è capitato più volte di occuparmi di selezione del personale. Il colloquio di selezione è sempre un momento delicato, al quale è giusto dedicare la massima importanza, perché essere scelti o scartati può davvero essere questione di…parole!
Vi riporto 10 esempi, tratti dalla mia esperienza, in cui mi è capitato di assistere ai colloqui più originali e stravaganti. Queste sono le cose che assolutamente vi consiglio di NON dire durante un colloquio di selezione:

L’appuntamento è alle 11.00. Il candidato arriva trafelato con la faccia sconvolta, dicendo: Scusi, ma non sono abituato ad alzarmi così presto alla mattina! Io: Ah, quindi è venuto da molto lontano per sostenere il colloquio? Lui: No, abito qui dietro!

Un candidato arriva in jeans e maglietta, tutto spettinato, con la faccia sconvolta. Io: La vedo un po’ provato. Candidato: No, sa, è che ieri sera sono uscito con gli amici, abbiamo bevuto un sacco e oggi sto da schifo!

Io: è da molto che cerca lavoro? Lei: Da circa 7 mesi. Ho fatto più di 30 colloqui ma non mi ha mai richiamato nessuno quindi se anche lei ha intenzione di non prendermi è pregata di elencarmi esattamente i motivi perché sono veramente stufa quindi anzi facciamo così, se mi vuole scartare me lo dica subito!

Io: Quanto ci ha messo per arrivare qui? Lei: Circa 30 minuti, ma per me è pochissimo, la distanza non è un problema! Io: Ah, bene! Fra le varie cose vedo che lei è iscritta all’università, quanto le manca per finire? Lei: Veramente sto pensando di ritirarmi, perché l’università dista mezzora da casa mia e io odio la vita da pendolare!!!

Io: Cosa sa della nostra azienda? Lui: Mmmmm….cioè…no, a dire il vero non so neanche chi siete. Anzi, scusi, che azienda siete? Sa com’è, ho spedito circa 500 curricula…

Lei: Date un rimborso spese? Quanto pagate al mese? Quanto pagate gli straordinari? Quanti sono i giorni di ferie? In che periodo chiudete per le vacanze? Sono previsti aumenti frequenti di stipendio? Io: Scusi, ma lei cosa sa fare? Lei: veramente niente.

Io: Che lavoro sta cercando, che cosa le piacerebbe fare da grande? Lei: Qualsiasi cosa. Io: Sì, ma avrà qualche preferenza. Lei: No, non ho preferenze. Sono disposta a fare tutto. Qualsiasi cosa. Io: Un sogno nel cassetto? Lei: Non ho sogni, va bene qualsiasi cosa. Qualsiasi!

Io: Bene, ora che abbiamo visto i suoi pregi passiamo all’altra faccia della medaglia. Quale considera essere il suo più grande difetto? Lui: Non ho difetti. Io sorrido e  ripropongo la domanda. Lui, serissimo, risponde: Le ho detto che non ho difetti. Sono perfetto!

Come mai ha cambiato lavoro? Non sopportavo il capo. Poi vedo che ha lasciato anche l’azienda Y. Come mai? Non andavo d’accordo col capo. E l’azienda Z? Non andavo d’accordo col capo. Dopo la quinta azienda lasciata per lo stesso motivo, le chiedo: Lei che apporto ritiene di poter dare a un gruppo? Lei: Un grande apporto, vado sempre d’accordo con tutti!

Io: Se il suo ultimo capo dovesse descriverla, come parlerebbe di lei? Lui: In termini assolutamente entusiastici! Io: Ah, ottimo, allora posso chiamarlo per referenza? Lui, impallidito: Assolutamente no!!! 

martedì 28 settembre 2010

ginnastica alla scrivania


Chi non si è mai innervosito durante una normale giornata di lavoro vissuta dietro la scrivania? Chi non ha mai avuto uno di quei giorni in cui vorresti buttare tutto all’aria e gridare: Bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!


Ritmi frenetici, scadenze da rispettare, clienti pretenziosi e superiori stressati sono uno scenario davvero poco augurabile. Ma se nel tuo caso questo contesto  rappresentasse la norma…non disperare: da oggi esiste la soluzione!

Un gruppo di ricercatori della Ohio State University (Usa) hanno condotto uno studio su di un campione di impiegati, facendo praticare loro per 6 settimane la MBRS (Mindfulness-Based Stress Reduction), una particolare tecnica di meditazione. La seduta consisteva in un’ora di meditazione al giorno + 20 minuti di yoga, da fare direttamente dalla scrivania.
Il risultato, pubblicato sulla rivista Health Education & Behavior, riporta che il gruppo di impiegati sottoposti a yoga e meditazione ha notato un netto miglioramento del proprio sonno notturno, mentre l’ansia è diminuita del 10% rispetto agli altri colleghi.
Come dici? Non sei esperto di yoga? Non c’è nessun problema. Esistono soluzioni ancora più semplici e immediate per stemperare un po’ la tensione accumulata durante la giornata: basta solo dedicarsi qualche minuto di tempo ed eseguire dei piccoli movimenti per distendere i muscoli, con grande beneficio del corpo (e della mente).
Ecco alcuni esempi di esercizi che si possono fare in ufficio, standosene comodamente seduti alla scrivania:
-        per la cervicale: alzare e abbassare il capo, poi ruotarlo a destra e sinistra. Poi ruotarlo lentamente in senso orario e anti-orario.
-        per le spalle: seduti a gambe unite, incrociare le braccia appoggiando il palmo della mano sulla spalla. Inspirare e poi espirare spingendo le spalle verso il basso e allungando il collo.
-        per gli addominali: seduti, contrarre i muscoli addominali e mantenere la posizione per almeno 10 secondi. Ripetere più volte.
-        per la schiena: seduti, stendere il più possibile mani e braccia verso il soffitto e mantenere la posizione per 30 secondi. Ripetere.
-        Per la circolazione: alzarsi ripetutamente sulle punte dei piedi distendendo i polpacci, e ricordarsi di non accavallare a lungo le gambe.
Tutto questo non cambierà il tuo lavoro, ma sono certa che ti farà sentire meglio!

lunedì 20 settembre 2010

l’erba del vicino è sempre la più verde?


Ogni anno mi capita di imbattermi in articoli che parlano di libri o di ricerche che si occupano di stanare quelli che potremmo definire i peggiori lavori che una persona possa fare. Se ne leggono di veramente bizzarri. Ve ne riporto alcuni che mi hanno particolarmente colpito:

- il sosia di un dittatore latitante (bene che ti vada, rischi l’impiccagione)

- l’assistente del lanciatore di coltelli (e se non prende bene la mira?!)
- l’addetto alle pulizie in un cinema porno (no comment)
- lo sterminatore di roditori a Bombay
- l’allevatore di larve (con tuta e stivaloni, il suo compito è quello di stare dentro un’enorme vasca a girare le larve con il badile)
- l’ispettore di polli (se un pollo si ferisce, gli altri lo beccano fino ad ucciderlo. Il compito dell’ispettore è di estrarre il pollo ferito dalla gabbia e…tirargli il collo)

- l’esaminatore di sperma (fino a 400 provette al giorno!!!)
- il controllore di patatine fritte (consiste nel togliere dal rullo trasportatore le patatine difettose)
- il pulitore di sigmodoiscopio (strumento utilizzato per le ispezioni anali)

- l’annusatore di cibo per gatti (per assicurarsi che sia fresco)

Conserva questa lista e rileggila ogni volta che pensi che il tuo lavoro faccia schifo! ;)

martedì 14 settembre 2010

più sesso a casa = meno stress al lavoro



Un gruppo di ricercatori dell'Università di Goteborg, in Svezia, ha recentemente dimostrato come un’appagante vita sessuale fra le mura domestiche migliori le prestazioni… lavorative!
Lo studio, riportato dal notiziario The Local, è durato cinque anni ed ha coinvolto circa 900, fra uomini e donne, invitati a classificare la propria relazione sessuale in tre categorie: 'buona', 'media' e 'cattiva' e ad esprimere un giudizio su come la loro vita sentimentale e sessuale influisse sulla sfera lavorativa.
I risultati della ricerca parlano chiaro: i soggetti soddisfatti della propria vita intima sono quelli che subiscono meno stress sul lavoro.

Vi riporto qui di seguito i dettagli della ricerca:

Aprire la porta di casa dopo una giornata di duro lavoro e imbattersi nella persona amata e in un clima sereno tiene lontano lo stress derivante dal carico di lavoro eccessivo e/o da tensioni in ufficio. Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda, se non fosse che Ann-Christine Andersson Arntén, dell’Università di Göteborg in Svezia, ci ha rivelato nella sua tesi di dottorato in psicologia che è vero anche il contrario: se una vita di coppia felice può infatti fungere da cuscinetto agli effetti negativi ed ai rischi per la salute psico-fisica derivanti dall’accumulo di tensione sul posto di lavoro, quando nella vita sentimentale non è proprio tutto rose e fiori, i danni da stress si amplificano ulteriormente. Stando a quanto afferma la ricercatrice:

Una sana e solida vita di coppia riduce gli effetti negativi dello stress da lavoro sulla nostra salute. Relazioni instabili e superficiali, al contrario, ne amplificano gli effetti negativi.
 Anche un approccio positivo e la piena riuscita nella pratica di tecniche di gestione della tensione e del nervosismo aiuta nel mantenere stabile l’equilibrio psicofisico. 
Ma quando ci sono esperienze di stress sia sul posto di lavoro che nel rapporto con il partner, il rischio di risentirne a livello fisico e mentale è pericolosamente alto, e provoca non di rado un peggioramento repentino nelle condizioni di salute.
Circa 900 persone hanno preso parte all’indagine che ha portato a queste conclusioni. Coloro che avevano un buon rapporto di coppia sono risultati godere di stati di salute nettamente migliori rispetto alle persone che avevano un rapporto più problematico. Le donne nello specifico risentivano delle tensioni sviluppando forme di ansia, reazioni di stress mentale, disturbi del sonno. Gli uomini con rapporti turbolenti e tensione sul lavoro sviluppavano in misura maggiore rispetto agli altri depressione, ansia, stress psicologico e somatico.
Una spiegazione plausibile individuata dalla studiosa è che, dopo essere stato sottoposto a fonti di stress, il corpo ha bisogno di recuperare per ricaricarsi. Trovando anche nella vita di coppia una situazione tesa non ha però modo di scaricare l’energia negativa. Il risultato è che portare stress e tensione da lavoro a casa sconvolge anche la vita di coppia più serena e non consente di bilanciare tra situazioni stressanti per la psiche e l’organismo ed il benessere derivante da una serena vita sentimentale.
 Inoltre litigare con il partner porta via altra preziosa energia da destinarsi ad un eventuale recupero del rapporto ed al riconciliarsi. Ma qualcosa, lite dopo lite, si spezza, dal momento che spesso il partner intuisce che spesso le reazioni di rabbia e gli scatti di nervosismo non sono imputabili a fattori interni alla coppia, ma allo stress derivante dalla vita professionale. Usare il partner come valvola di sfogo, insomma, è sconsigliabile e non fa sentire affatto meglio. I problemi lavorativi vanno lasciati dietro la porta di casa quando questa si chiude alle nostre spalle. Ma questo, nella vita di tutti i giorni, è più facile a dirsi che a farsi.
Articolo tratto dal sito www.medicinalive.com

venerdì 10 settembre 2010

prevenire è meglio che stressare

Recenti studi hanno dimostrato che lo stress da lavoro è una delle principali cause di assenteismo all’interno delle aziende. Stress che provoca danni ingenti sul bilancio di fine anno: basta andare a guardare alla voce “malattie” e “sostituzione di assenti per malattia” per farsene un’idea.

Possiamo descrivere questo tipo di stress come uno stato psico-fisico caratterizzato da ansia costante e malessere diffuso, che si manifesta quando le richieste dell’ambiente superano le capacità del singolo di farvi fronte, compromettendone il rendimento lavorativo, oltre che i rapporti interpersonali. Non sorprende perciò come esso costituisca motivo per richiedere frequenti congedi e periodi di malattia, trasformandosi così in un problema che coinvolge più livelli: i collaboratori, i datori di lavoro, l’azienda. Lo stress, infatti, quando si trasforma in giorni di assenza, comporta maggiori costi, riduce drasticamente la  produttività e ci rende meno competitivi sul mercato.

Se in Europa secondo l’Inail, l’Agenzia per la sicurezza e salute del lavoro, le vittime di questa tipologia di stress sono circa 40 milioni e i giorni di lavoro persi ogni anno raggiungono il 50-60% (con dei costi per la collettività stimati attorno ai 20 miliardi di euro), secondo l'Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro, anche in Italia non siamo da meno. Secondo l’Ispesl, infatti, il 43% dei lavoratori italiani soffre di disturbi fisici e psicologici correlati alla  propria attività lavorativa, dato che supera di molto non solo la media EU (22%), ma anche paesi come la Gran Bretagna (27%), la Germania (25%) e la Francia (24%), ovvero le altre nazioni europee in cui lo stress lavorativo è superiore alla media.

Senza nulla togliere all’attuale momento storico-sociale, che indubbiamente contribuisce a rendere più drammatica la situazione per tanti lavoratori che si ritrovano in condizioni quanto mai precarie, notiamo come, anche fra chi ha un impiego, esistano precise cause che contribuiscono all’insorgere dello stress sul posto di lavoro.

Secondo la Commissione Europea, Direzione generale occupazione e affari sociali, i fattori più comuni che determinano lo stress legato all’attività lavorativa sono:
- Quantità di lavoro da eseguire eccessiva oppure insufficiente
- Tempo insufficiente per portare a termine il lavoro in maniera soddisfacente sia per gli altri che per se stessi 

- Mancanza di una chiara descrizione del lavoro da svolgere o di una linea gerarchica 

- Ricompensa insufficiente, non proporzionale alla prestazione 

- Impossibilità di esprimere lamentele 

- Responsabilità gravose non accompagnate da autorità o potere decisionale adeguati 

- Mancanza di collaborazione e sostegno da parte di superiori, colleghi o subordinati 

- Impossibilità di esprimere effettivamente talenti o capacità personali 

- Mancanza di controllo o di giusto orgoglio per il prodotto finito del proprio lavoro 

- Precarietà del posto di lavoro, incertezza della posizione occupata 

- Condizioni di lavoro spiacevoli o lavoro pericoloso 

- Possibilità che un piccolo errore o disattenzione possano avere conseguenze gravi

Analizzando le varie voci, notiamo come esse siano tutte riconducibili ad una scarsa organizzazione aziendale, che si riflette in una mancanza di certezze nei collaboratori, i quali si ritrovano spesso a remare senza però sapere in che direzione stanno andando e se la nave su cui si trovano riuscirà mai a raggiungere la riva. Compiti non definiti, obiettivi poco chiari, scarsa comunicazione, assenza di stimoli, sensazione di essere abbandonati a se stessi, mancata realizzazione personale e professionale, sono tutte situazioni che a lungo andare logorano e disorientano anche i collaboratori migliori.

Prendendo spunto da questi dati vediamo come, con piccole azioni quotidiane, noi potremmo fare davvero molto per prevenire il problema dello stress. Definire bene i ruoli e i risultati da ottenere, valorizzare gli obiettivi personali e condividere i valori aziendali, coinvolgere i collaboratori nelle scelte strategiche, aiutarli ad adattarsi ai cambiamenti, fornire un’adeguata formazione al ruolo, utilizzare una corretta gestione del tempo, gratificarli per i risultati ottenuti, non solo con premi e ricompense, ma anche con un semplice ma mai banale grazie, sono tutti accorgimenti che spesso si danno per scontati, ma che per un collaboratore non lo sono affatto. Anche un bravo può ottenere effetti miracolosi, ed è sicuramente uno dei modi più efficaci (ed economici) per aumentare l’autostima e combattere lo stress.

L’insieme di questi atteggiamenti produrrà una spirale positiva, fatta di collaboratori motivati, carichi di quella energia frizzante che mette l’uomo nella condizione fisica e mentale migliore per affrontare con grinta, determinazione e positività qualsiasi situazione. Di conseguenza diminuiranno drasticamente i giorni di assenza che gravano sul bilancio di fine anno, migliorerà il clima aziendale, salirà la motivazione di chi lavora con noi e il nostro business godrà di una forza propulsiva inarrestabile.

Quanta ricchezza in più produrrebbe ogni anno la tua azienda, se ti occupassi maggiormente del benessere dei tuoi collaboratori? Pensaci: prevenire è meglio che stressare!
Articolo di Camilla Targher pubblicato su "Migliorare" Anno II N. 3, 2010