giovedì 22 settembre 2011

questione di immagine

























L’abito fa il monaco? Senza voler fare troppo i bacchettoni, diciamo di sì. Per lo meno sul posto di lavoro e in sede di colloquio ha ancora un'importanza fondamentale, sia in Italia che all'estero. 
E’ vero, difficilmente nel nostro Paese le aziende codificano un vero e proprio “dress code”, un insieme cioè di regole di abbigliamento che vorrebbero vedere rispettate dai propri dipendenti. Esistono però delle norme non scritte che possono fare la differenza, in positivo e in negativo, sull’opinione che gli altri si fanno di noi. Ci sono imprese dove un look casual non solo è permesso ma è preferito, come ad esempio nel caso delle agenzie di comunicazione e nella società di marketing, ma in genere le altre aziende, in particolare quelle più importanti e strutturate, si richiede che in ufficio si vada vestiti in modo non informale e che si seguano alcuni accorgimenti relativi all'immagine. Possiamo individuare alcune di queste regole non scritte di look che andrebbero sempre osservate da chi lavora in un ufficio:
-       presentarsi al lavoro in ordine e curati nell’aspetto e nell’igiene personale (ma attenzione a non esagerare con profumi e dopobarba)
-       evitare tatuaggi e piercing (o nasconderli accuratamente) e non esagerare con i gioielli, specie quelli molto vistosi
-       indossare abiti non troppo eccentrici e ben appropriati all’occasione, che diano sempre un'immagine di professionalità
-       curare trucco e pettinatura per le donne e non portare la barba e capelli incolti per gli uomini
Naturalmente chi viola queste norme non può essere sanzionato, a meno che non esista un regolamento aziendale scritto. Ma ci sono alcune situazioni in cui un'azienda può "escludere" una persona in base al modo in cui si presenta, ad esempio durante un colloquio di selezione. Molti selezionatori aziendali e molte agenzie di recruiting riferiscono che, in una selezione, il modo in cui ci si presenta è fondamentale per condizionare in positivo o in negativo gli esaminatori. Se ci si presenta ad un colloquio in jeans e maglietta, per esempio, si rischia di dare l’impressione di scarsa professionalità o di non dare troppa importanza all’azienda per cui ci si candida. Un sondaggio condotto dal sito britannico TheLadders, specializzato in recruiting ondine, ha rilevato che il 76% dei top manager, durante la propria carriera, ha scartato alcuni candidati perché riteneva che il loro look fosse improprio rispetto alle mansioni da svolgere, mentre il 37% lo ha fatto di recente.
Nei lavori che comportano un contatto diretto con partner d'affari o clienti, la scelta dell'abito più consono è ancora più rilevante perché può avere un impatto anche sui business dell'azienda.
Quindi anche se in Italia, a differenza che all’estero, le aziende in genere non hanno un “dress code” ufficiale né un manuale con tutte le norme che i dipendenti devono osservare in termini di abbigliamento, questo non significa che anche qui da noi certi dettagli non vengano osservati. Non si richiede che un candidato/collaboratore si presenti al lavoro firmato o vestito all’ultima moda, ma semplicemente che dedichi anche al proprio aspetto la giusta importanza, in modo da rispecchiare in termini di professionalità e in termini di look, la professionalità e l’immagine dell’azienda che rappresenta.