martedì 20 dicembre 2011

Natale ai fornelli

Sarà l’aria Natalizia ma sempre più spesso in questi giorni sento parlare di cibo. C’è chi passerà il Natale in famiglia, chi con gli amici, chi in montagna sulla neve, ma una cosa di sicuro faremo tutti: mangiare!!
E a proposito di cibo, non è solo una riscoperta natalizia, ma una vera e propria tendenza che sta monopolizzando riviste, reality e programmi TV, basta pensare ai vari Hell's Kitchen, Masterchef e ai tanti programmi dall’unico tema comune: i fornelli!
Cucinare è e rimane sicuramente una passione, ma sono sempre di più gli appassionati che cercano nuovi modi per trasformare questa antica passione in una professione, che permetta di coniugare tecnica e creatività, ma che abbia anche un ritorno economico interessante.
Alcune professioni che non sono certo nuove, ma godono senz’altro di rinnovato lustro, sono lo Chef e il Pasticcere. Anche il Critico Gastronomico come figura professionale esiste da un po’ ma non è certo prossima al tramonto. E poi ci sono le figure professionali nuove, di tendenza, quelle che potremmo definire le “Food-professioni” del futuro: il Food Shopper e il Food Stylist.
E se quest’ultima è forse fra le più creative, in quanto presuppone la capacità di far apparire al meglio il cibo per film e servizi fotografici, mettendo in campo delle vere e proprie opere d’arte fashion food, il Food Shopper ha lo stimolante compito di guidare e consigliare i clienti top in materia di food: dal vino all'olio, dal miele ai formaggi, con particolare attenzione alle squisitezze degne dei palati più sopraffini. 
Unica nota: solo per veri intenditori, astenersi perdigusto. 

lunedì 12 dicembre 2011

frasi da evitare a colloquio

Capita a volte di convocare candidati con curricula interessanti, che però al momento del colloquio si lasciano inavvertitamente scappare commenti o considerazioni davvero inopportune, che in molti casi rischiano di compromettere seriamente l’esito della selezione.
Vis—a-vis non esistono filtri e le gaffe sono in agguato. Career Builder.com ne ha raccolte alcune:
«Senza alcun dubbio la cosa più folle che mi è capitata aveva per protagonista un candidato che si era proposto per un ruolo di manager di primo livello. Sembrava perfetto sulla carta e così abbiamo fissato un colloquio telefonico per le 3 del pomeriggio. Ha risposto al telefono e quando mi sono presentata ha detto: "Resta in linea, sono al bar. Lasciami finire questo bicchierino ed esco". Una volta uscito mi ha detto: "Sai cosa? Sono un po' più ubriaco di quanto pensavo. Possiamo fissare un altro appuntamento?". Ovviamente non lo feci.»
Heather Lytle, senior partner, H&L Media Partners


«La più bizzarra esperienza che ho mai avuto coinvolgeva una candidata che si era offerta per un ruolo presso un mio cliente. Visto che aveva dichiarato di essere laureata, le era stato richiesto un attestato o una qualsiasi certificazione. Lei ci ha risposto che non poteva presentare la documentazione richiesta perché la sua identità era cambiata e quell'informazione era disponibile solo col suo nominativo precedente. Per ragioni di sicurezza, quindi, si rifiutò di portarci qualsiasi prova del titolo di studio, sia col nome che aveva in passato, sia con quello attualmente in uso. »
Cathleen Faerber, The Wellesley Group Inc.


«Alcuni anni fa intervistando una ragazza che si era proposta per un lavoro di segretaria avevo chiesto: "Che cos’è importante per te in un lavoro?" e la sua risposta fu: "Voglio lavorare vicino a casa".»
Bettina Seidman, coach di gestione della carriera, Seidbet Associates


« "Quando il tuo carico di lavoro è pesante e ti senti travolta, come gestisci lo stress?". "Corro in bagno e piango".»
Jessica Simko, Career Branding Guide


«Recentemente abbiamo chiesto a un candidato: "Che cosa sai su di noi?". Lui si è appoggiato alla sedia e ha risposto: "Non molto. Perché non mi aggiorni?". Non è stato assunto.»
John Kramb, Adams County Winery


«Il colloquio era per una posizione di assistente amministrativo con elevata visibilità. Chiaramente, stavamo cercando qualcuno che sapesse gestire con tatto le persone di alto calibro che sarebbero venute nel nostro ufficio. Ho aperto il colloquio con una domanda standard: "Che cosa ti attrae di più in questo lavoro?". Senza esitazione, la candidata ha replicato: "Mia madre pensa che sarebbe il lavoro perfetto per me"»
Bill Lampton, presidente, Championship Communication


«La risposta più shockante alla domanda "Se fossi un animale, quale vorresti essere e perché?" è stata la seguente: "Vorrei essere un gatto così potrei girellare tutto il giorno senza avere nulla da fare".»
Efrain Ayala, account executive, Walt Denny Inc., The Home Products Agency


«Stavo facendo un colloquio a una signora per un posto nella mia azienda. Pensavo che avesse una grande personalità e stavo pensando di assumerla. Alla fine del colloquio mi chiese se avrei potuto accompagnarla ogni giorno al lavoro con la mia auto e poi riportarla a casa a fine giornata. Mmmh, no.»
Janice Celeste, presidente e direttore, Celeste Studios Film & Video


«Un candidato arrivò in ritardo a un colloquio e in un modo non molto educato. "Arrivare fin qui è terribile. Sono felice di non doverlo fare ogni giorno".»
Sammie Samuella Becker, direttore di TigressPR

mercoledì 7 dicembre 2011

sogno e realtà











Imprenditoria oggi: sogno o realtà? Sicuramente sogno, magari il sogno di una vita, il momento in cui si sceglie di provare, di rischiare, di mettercela tutta per realizzare proprio quell’idea, quel sogno nel cassetto che ti portavi dietro da chissà quanto tempo. Ma anche realtà, la capacità e il coraggio di non lasciare che i propri sogni rimangano irrealizzati, i desideri sopiti, le emozioni interrotte. Mettersi in proprio e aprire un’azienda non è certo un gioco da ragazzi e presuppone mille valutazioni e un piano di azione ben preciso da perseguire, specialmente se pensiamo che solo nel 2009 sono sparite dal mercato italiano quasi 30mila imprese (dati Unioncamere) e che in Italia la mortalità aziendale nel primo anno era del 20% prima della crisi, mentre oggi questi valori sono più che raddoppiati a causa della difficile congiuntura economica.
Sicuramente la prima mossa quando si pensa di aprire un nuovo business è valutare obiettivamente quanto la propria idea sia fattibile, altrimenti rischia di rimanere solo un bel sogno… o peggio ancora di trasformarsi in un brutto incubo! Evitiamo quindi gli errori più grossolani e cominciamo col conoscere il mercato potenziale, cioè i clienti e i concorrenti, per non trovarci a forzare un bene o un servizio in un mercato già saturo, senza capire quali sono i bisogni ancora inascoltati dei consumatori. Il business plan è un altro strumento semplice ma indispensabile: serve ad individuare gli obiettivi della nuova azienda, gli strumenti necessari per raggiungerli, i possibili ostacoli e le relative soluzioni: più variabili vengono previste nel business plan, meno brutte sorprese si incontreranno. Altro passo fondamentale è curarne la visibilità, on-line e off-line, ma soprattutto essere sempre pronti a cambiare obiettivi e strategia quando gli eventi lo impongono. Le “aziende fossile” o che reagiscono come tartarughe ai cambiamenti di solito non vano molto lontano: oggi le aziende sono in perenne fase di start-up.
Una volta che abbiamo vagliato i fattori principali da non sottovalutare, possiamo lasciare spazio all’intangibile, ovvero a tutti quegli elementi difficili da valutare oggettivamente, ma indispensabili per chiunque voglia lanciarsi nell’avventura della propria vita. Parlo di creatività, genialità, entusiasmo, coraggio, intuito, tutti elementi difficili da soppesare nell’immediato ma assolutamente imprescindibili e immancabili in chi ce la farà. E l’esempio migliore a tal riguardo ce lo danno proprio i giovani, anzi giovanissimi, coloro che in tenera età hanno avuto il coraggio e la forza di intraprendere un nuovo business, unito alla perseveranza e alla caparbietà di chi fa fronte a testa alta alle inevitabili difficoltà.
Nel mondo ci sono moltissimi esempi di giovani imprenditori che grazie ad un’idea geniale e a tanto tantissimo impegno sono riusciti a fondare compagnie solide, in costante espansione e che annoverano già fatturati da capogiro, soprattutto se pensiamo alla giovane età di chi li ha fondate, spesso partendo da una semplice manciata di dollari. Eppure sono proprio loro, i “baby-imprenditori”, che ci danno gli esempi più lampanti di impegno, innovazione e creatività a sette cifre. Un motivo? Innanzitutto perché credono ancora che realizzare i propri sogni sia possibile e poi per quel naturale entusiasmo e quella irrefrenabile voglia di fare che abbiamo tutti a quell’età. Basta come ingrediente per avere successo? Certo che no, però è sicuramente l’inizio, il trampolino di lancio, la base dalla quale tutto prende forma.
Per alcuni di loro aprire un’azienda e portarla al successo è stato veramente un gioco da ragazzi: Leanna Archer alla tenera età di 11 anni ha fondato la Leanna's Inc e realizza otto tipi di prodotti biologici per capelli privi di additivi chimici. Nel 2010 la sua società ha avuto introiti superiori ai 100.000 dollari e si aspetta che il giro d'affari oltrepassi i 300.000 dollari per la fine del 2011. Robert Nay è un 14enne americano dello Utah che ha trasformato la sua passione per i videogame in un vero e proprio business: a due settimane dal lancio, il suo primo gioco Bubble Ball è stato downloadato più di due milioni di volte. Lizzie Marie Likness voleva fare la cuoca da quando aveva 2 anni. Nel 2007 ha realizzato Lizzie Marie Cuisine, un sito in cui insegna ai bambini come cucinare cibi sani divertendosi. Ora ha 11 anni ed è già sulla buona strada per diventare una delle più affermate chef d'America. Jason Brian a soli 21 anni ha investito meno di 10.000 dollari per la creazione di un sito, Autocricket.com, per orientare le persone in cerca dell'automobile giusta. La sua fonte di guadagno è la vendita di informazioni sui consumatori ai produttori e ai rivenditori di auto. Il portale ha generato 1,2 milioni di dollari di introiti nel 2009 e 6 milioni nel 2010. A Farrhad Acidwalla per diventare un imprenditore sono bastati i 10 dollari che gli hanno dato i suoi genitori quando aveva 13 anni: oggi la sua Rockstah Media si occupa di branding, marketing e sviluppo web e dà lavoro a 42 persone. A soli 18 anni Joshua Dziabiak ha venduto la sua prima società di domini Internet, Mediacatch, e ha reinvestito parte del ricavato in altre società tra cui Showclix, un sito che permette a musei, sale concerti e altri enti di vendere biglietti online, per telefono o al botteghino. Nel 2010, le commissioni sui biglietti hanno fatto entrare nelle casse di Showclix 9 milioni di dollari. Solben, un'azienda green che progetta e realizza uno strumento per estrarre olio dalle piante e generare biodiesel, è stata creata da un ventenne messicano di nome Daniel Gómez Iñiguez.  Nel primo anno di attività la società, che ha sede a Monterrey (Messico), ha avuto introiti per oltre un milione di dollari e dà lavoro a 15 persone. La passione per la musica è stata invece la fortuna di Milun Tesovic, un ragazzo che nel 2002, a soli 16 anni, ha creato un sito internet in cui raccogliere i testi delle sue canzoni preferite. Oggi il suo sito, Metrolyrics.com, vanta un database con oltre 2 milioni di testi di canzoni, dà impiego a circa 20 persone e guadagna attraverso la pubblicità on-line. Nel 2004, Jamie Murray Wells aveva 21 anni, studiava all'università e doveva comprare un nuovo paio di occhiali. Spaventato dal prezzo, 300 dollari, ha deciso di creare una società on-line che vende occhiali a basso prezzo, la Glasses Direct, che ha sede a Londra e oggi conta circa 70 impiegati, con un ricavato pari a 2 milioni di dollari già nel primo anno di vita, per salire a 5 milioni nel 2010. Fraser Doherty è un ragazzo scozzese che nel 2002, alla tenera età di 14 anni, ha iniziato a preparare marmellate e confetture nella cucina di casa. L'azienda che ha fondato, la SuperJam, è riuscita a guadagnare nel 2009 ben 1,2 milioni di dollari, è in costante crescita e gode già di fama internazionale.
E qui da noi cosa si dice? Che siamo giovani fino a 40 anni! O meglio, questa è l'età fino alla quale Confindustria considera un imprenditore giovane, forse perchè di ragazzi under 30 che raggiungono il successo ce ne sono sempre meno. In Italia gli imprenditori 70enni sono più degli under 30, come dimostrano i dati di Unioncamere secondo i quali le aziende possedute da chi ha meno di 30 anni sono il 6,9%, mentre 296mila imprese (l'8,8% del totale) appartengono a ultrasettantenni. L'età del successo, invece, sta nel mezzo: il numero maggiore di capi d'azienda italiani si riscontra nelle classi di età intermedie, tra i 30 e i 50 anni.
Sicuramente in altri Paesi accedere a un finanziamento è più semplice: basta avere una buona idea e un piano di azione coerente e le banche sono disponibili a valutare la nuova proposta e la buona volontà, anche dei giovani. Qui invece il paradosso è che prima verificano se hai già i soldi, mentre dell’idea e della buona volontà se ne fanno poco o nulla, a meno che non sia accompagnata da valide garanzie. Questo atteggiamento non aiuta certo le nuove generazioni ad aprire un loro business e posticipa costantemente l’età in cui i nostri “giovani” imprenditori riescono a mettersi in proprio. C’è anche da dire, però, che spesso non ci proviamo nemmeno, che in altri Paese pur di inseguire un sogno i ragazzi sono disposti a lavorare come lavapiatti tutti i giorni dopo scuola pur di racimolare un gruzzoletto da investire in un progetto, mentre qui sogniamo ancora il posto fisso e nel frattempo ci facciamo mantenere da mamma e papà. E’ una questione culturale, oltre che economica: negli Stati Uniti avere poco più di 20 anni ed essere titolari di un business è pressoché normale, da noi no. E pensare che secondo gli esperti l'età migliore per arrivare all'apice della carriera come imprenditori è proprio quella tra i 25 e i 27 anni, quando la creatività è al massimo livello e si è pronti per avviare nuove start up, soprattutto in alcuni settori come il web.
Questo ovviamente non significa che dobbiamo diventare tutti imprenditori né tanto meno che lo dobbiamo fare per forza da giovani. Significa però che crederci (soppesando al contempo le difficoltà) è sicuramente il fattore determinante, quello che ci dà quella spinta propulsiva che solo il raggiungimento di un obiettivo importante può dare. Significa anche saper trovare nel proprio lavoro, anche quello che già svolgiamo, quell’input creativo che avevamo da tempo abbandonato, quella capacità propositiva magari sopita. C’è sempre un modo per innovare, per inventare, per migliorare: è una questione di intuito, di competenza e di cuore… e niente sarà più facile che trasformare il sogno in realtà.

giovedì 22 settembre 2011

questione di immagine

























L’abito fa il monaco? Senza voler fare troppo i bacchettoni, diciamo di sì. Per lo meno sul posto di lavoro e in sede di colloquio ha ancora un'importanza fondamentale, sia in Italia che all'estero. 
E’ vero, difficilmente nel nostro Paese le aziende codificano un vero e proprio “dress code”, un insieme cioè di regole di abbigliamento che vorrebbero vedere rispettate dai propri dipendenti. Esistono però delle norme non scritte che possono fare la differenza, in positivo e in negativo, sull’opinione che gli altri si fanno di noi. Ci sono imprese dove un look casual non solo è permesso ma è preferito, come ad esempio nel caso delle agenzie di comunicazione e nella società di marketing, ma in genere le altre aziende, in particolare quelle più importanti e strutturate, si richiede che in ufficio si vada vestiti in modo non informale e che si seguano alcuni accorgimenti relativi all'immagine. Possiamo individuare alcune di queste regole non scritte di look che andrebbero sempre osservate da chi lavora in un ufficio:
-       presentarsi al lavoro in ordine e curati nell’aspetto e nell’igiene personale (ma attenzione a non esagerare con profumi e dopobarba)
-       evitare tatuaggi e piercing (o nasconderli accuratamente) e non esagerare con i gioielli, specie quelli molto vistosi
-       indossare abiti non troppo eccentrici e ben appropriati all’occasione, che diano sempre un'immagine di professionalità
-       curare trucco e pettinatura per le donne e non portare la barba e capelli incolti per gli uomini
Naturalmente chi viola queste norme non può essere sanzionato, a meno che non esista un regolamento aziendale scritto. Ma ci sono alcune situazioni in cui un'azienda può "escludere" una persona in base al modo in cui si presenta, ad esempio durante un colloquio di selezione. Molti selezionatori aziendali e molte agenzie di recruiting riferiscono che, in una selezione, il modo in cui ci si presenta è fondamentale per condizionare in positivo o in negativo gli esaminatori. Se ci si presenta ad un colloquio in jeans e maglietta, per esempio, si rischia di dare l’impressione di scarsa professionalità o di non dare troppa importanza all’azienda per cui ci si candida. Un sondaggio condotto dal sito britannico TheLadders, specializzato in recruiting ondine, ha rilevato che il 76% dei top manager, durante la propria carriera, ha scartato alcuni candidati perché riteneva che il loro look fosse improprio rispetto alle mansioni da svolgere, mentre il 37% lo ha fatto di recente.
Nei lavori che comportano un contatto diretto con partner d'affari o clienti, la scelta dell'abito più consono è ancora più rilevante perché può avere un impatto anche sui business dell'azienda.
Quindi anche se in Italia, a differenza che all’estero, le aziende in genere non hanno un “dress code” ufficiale né un manuale con tutte le norme che i dipendenti devono osservare in termini di abbigliamento, questo non significa che anche qui da noi certi dettagli non vengano osservati. Non si richiede che un candidato/collaboratore si presenti al lavoro firmato o vestito all’ultima moda, ma semplicemente che dedichi anche al proprio aspetto la giusta importanza, in modo da rispecchiare in termini di professionalità e in termini di look, la professionalità e l’immagine dell’azienda che rappresenta.

martedì 2 agosto 2011

te lo do io l'asilo

Riuscire a conciliare vita professionale e vita privata è un obiettivo comune a molte donne che sono quotidianamente combattute fra scelte importanti: carriera o famiglia?
Mi riferisco in particolare a tutte quelle donne che si trovano ad affrontare un lavoro a tempo pieno e una famiglia da gestire. Se poi per famiglia intendiamo un nucleo che conta al suo interno la presenza di uno o più bambini piccoli, la questione si complica ulteriormente.
La soluzione “asilo nido”, pubblico o privato che sia, non è sempre praticabile: il numero di posti disponibili è spesso insufficiente, gli orari sono poco flessibili, le strutture scarse e mal distribuite sul territorio e le rette mensili piuttosto salate e quindi non accessibili a tutti. 
Le conseguenze di un’offerta insufficiente di servizi dedicati alle mamme lavoratrici si vedono nell’innalzamento progressivo dell’età in cui si decide di avere il primo figlio, nella forte percentuale di donne che abbandonano il lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla famiglia e in una media nazionale di donne inoccupate a dir poco imbarazzante rispetto agli altri Paesi Europei.
I dati ISTAT sull'occupazione femminile dipingono una scenario sconfortante: solo il 47,2% delle donne italiane in età da lavoro ha un impiego, contro la media Ue del 57,2% e contro il 70,3% degli uomini. Questo significa che in Italia lavora solo una donna su due in età produttiva! 
Abbiamo invece ottenuto un bel secondo posto per anzianità in Europa, con una popolazione che censisce 143 anziani ogni 100 giovani, dato determinato non solo dalla buona qualità di vita, ma anche e soprattutto da un tasso di natalità che si attesta a 1,41 figli per donna, inferiore tra quelli europei solo alla Germania. 
Oltretutto la mancanza di misure adeguate che consentano di conciliare vita professionale e vita privata può influire sulla decisione di non avere figli o di averne di meno, scelta che pone una serie di problemi sul piano dell'invecchiamento della popolazione e della futura offerta di manodopera, fino a causare una vera e propria stagnazione economica. 
Nei Paesi in cui troviamo invece condizioni più favorevoli per quanto riguarda i servizi di assistenza all'infanzia, di congedo parentale e di formule di lavoro flessibili, sono più elevati sia il tasso di occupazione femminile che il tasso di natalità.
In Italia invece, nonostante il progressivo aumento dell'offerta di servizi di assistenza all'infanzia, la loro disponibilità non soddisfa ancora gli obiettivi, in particolare per quanto concerne i bambini al di sotto dei 3 anni. Di conseguenza il tasso di occupazione femminile rimane basso, mentre è elevato il tasso di abbandono lavorativo da parte delle donne alla nascita del primo o del secondo figlio, calcolato attorno al 27,1%.
Per ovviare a questo problema molte grandi aziende, soprattutto all’estero, hanno da tempo cominciato ad aprire al loro interno dei veri e propri asili nidi aziendali, in modo da offrire alle dipendenti un servizio che soddisfi un loro bisogno primario. In questo modo loro si sentono supportate dall’azienda nella scelta di avere figli e l’azienda sa di poter contare sulle proprie collaboratrici anche una volta diventate mamme.
Anche qui da noi cominciano a vedersi i primi nidi aziendali. E se tale politica è stata finora adottata principalmente dalle grandi aziende, non significa che le medio-piccole non possano fare altrettanto.
Realizzare un nido aziendale, infatti, non rappresenta solamente una forma di attenzione alle esigenze dei propri collaboratori, ma anche un adeguamento alle necessità del contesto sociale in cui l'impresa opera, con conseguente giovamento dell’azienda stessa.
Sono molti gli effetti benefici che un’impresa può ottenere realizzando un nido aziendale:
- garantire il rientro delle lavoratrici dalla maternità in tempi più rapidi e in modo meno traumatico
- ridurre il tempo impiegato dai dipendenti nell'accompagnare i figli in altre strutture
- aumentare le possibilità di carriera delle mamme lavoratrici
- migliorare la qualità di vita dei collaboratori 
- fidelizzare maggiormente le risorse umane 
- migliorare il clima aziendale
- aumentare il prestigio e l’immagine dell’azienda
- creare rapporti di collaborazione con le amministrazioni locali 
Ovviamente, prima di procedere ad un’iniziativa del genere, è fondamentale che l’azienda conosca precisamente le esigenze dei propri dipendenti. L’analisi della domanda rappresenta infatti un passaggio fondamentale per la progettazione e l’avvio di qualsiasi servizio.
In questo caso, qualora si pensasse concretamente alla possibilità di aprire un asilo nido nella propria azienda, il consiglio è quello di raccogliere dati certi attraverso un questionario da somministrare ai propri collaboratori (sia donne che uomini, sia genitori che nonni) atto a raccogliere alcune informazioni essenziali: da quante/quali persone è composto il nucleo famigliare, l’interesse a far frequentare al proprio figlio/nipote un nido aziendale, l’età del figlio/i o del nipote/i, se interessati ad una frequenza full-time o part-time, l’aspetto che ritengono più interessante di un eventuale asilo aziendale (flessibilità degli orari, vicinanza, rette agevolate, ecc.). 
In seguito alle rilevazioni fatte ci si potrebbe anche accorgere che nella propria azienda il numero dei bambini interessati è troppo esiguo per poter attivare un nido aziendale. In questo caso può essere valutata l’opportunità aprire un nido interaziendale, coinvolgendo nel progetto anche le aziende limitrofe, in un’ottica di network aziendale per il benessere dei propri collaboratori.
Le imprese che decidono di aprire un nido, sia aziendale che interaziendale, possono scegliere fra una forma di gestione diretta o indiretta  e conseguentemente individuare le forme giuridiche più opportune. Per gestione diretta s’intende la scelta di aprire nella propria struttura un asilo nido, sfruttando gli spazi dell’azienda e personale assunto dall’azienda stessa, mentre nella gestione indiretta il servizio viene affidato ad un gestore esterno (cooperativa, ecc.).
Le spese da considerare sono i costi di investimento (investimento iniziale e relativo ammortamento) e i costi di gestione (costi correnti, assicurazione, eventuale affitto di uno spazio esterno, acquisto del materiale di consumo, manutenzione). L’impresa che intenda avviare un asilo nido aziendale può comunque usufruire di diverse forme di finanziamenti agevolati sulle opere di adeguamento e di allestimento degli spazi.
Si potrebbe inoltre considerare anche la possibilità di accogliere all’interno del nido aziendale anche bambini “esterni”, cioè figli di persone che non lavorano all’interno dell’azienda ma che magari vivono in zone limitrofe. Maggiore è infatti il numero di bambini iscritti e minore è l’ammontare della retta mensile per ogni singolo frequentante. 
Riuscire a contenere la retta mensile è un’ulteriore bonus che potremmo garantire ai nostri collaboratori, senza dimenticare un’altra importante questione: considerare parte della retta come benefit aziendale.
Certo, la creazione di un asilo nido aziendale deve rispondere innanzitutto ai bisogni dei bambini, attorno ai quali ruota l’intera iniziativa, ma innumerevoli sono le conseguenze positive che concorrono anche alla soddisfazione degli interessi delle imprese e dei loro dipendenti.
Aprire un asilo aziendale, infatti, non solo aumenterebbe la serenità e la fedeltà dei tuoi collaboratori, ma gioverebbe economicamente anche al benessere della tua azienda. Pensaci.
Articolo di Camilla Targher, pubblicato sul Magazine Migliorare Anno III n. 7, 2011

martedì 5 aprile 2011

soddisfatti o reinventati

Il mondo del lavoro sta cambiando. Lavoro, oggi, non è più soltanto sinonimo di sussistenza economica (seppur indispensabile) e riconoscimento sociale (seppur desiderabile), ma è un qualcosa che contribuisce in maniera sempre più chiara e netta a strutturare e caratterizzare la nostra identità. Nonostante questo, però, in molti si trovano a svolgere un lavoro che non appaga completamente e che soddisfa solo in parte.
Una ricerca Global Workforce Study 2010, della Società di Consulenza Towers Watson, ha coinvolto più di 20mila dipendenti in 22 Paesi, con l’obiettivo di comprendere atteggiamenti e grado di coinvolgimento negli ambienti di lavoro. I risultati evidenziano che oggi solo 13 Italiani su 100 si dichiarano “molto coinvolti” in quello che fanno. In Europa il numero non sale di molto (17%), ma almeno è un pochino più elevato. La percentuale sale al 39% se consideriamo gli “abbastanza coinvolti” (42% è la media europea), ma il numero rimane comunque esiguo. In cima alla classifica dei paesi europei per quota di collaboratori abbastanza motivati e molto motivati troviamo la Svizzera con un bel 72%, seguita da Germania, Irlanda, Belgio e Paesi bassi (65%), Regno Unito (60%), Spagna (54%), Francia (53%) e infine l’Italia al 52%. Questo significa che solo 1  italiano su 2 si dichiara soddisfatto del proprio lavoro!
Ma se il lavoro che svolgi non ti piace, non preoccuparti, non hai bisogno di cercarne uno nuovo. C’è infatti una nuova tendenza nella Psicologia del Business che suggerisce di riprogrammare il modo di approcciarsi al proprio lavoro. Si chiama Job crafting e consiste nel ridisegnare la propria attività, ritrovando motivazione, entusiasmo e passione per quello che si fa. Il segreto non è cambiare lavoro, ma cambiare il modo in cui si svolge il proprio - trasformandolo.
Avrete notato come, quando in un’azienda una persona prende il posto di un’altra, quello stesso ruolo venga svolto in modo diverso e con risultati diversi. Il ruolo è lo stesso, ma il fatto che l’abbiano ricoperto due persone, con un bagaglio culturale, competenze, esperienze e personalità diverse, ha portato inevitabilmente a delle differenze. Semplicemente ognuno di loro ha ricoperto lo stesso ruolo a modo suo.
L’idea portante di questa nuova teoria è che la maggior parte dei lavori siano in realtà piuttosto flessibili, il che significa che possono essere adattati alle capacità e alle preferenze di chi li ricopre. Riprogrammando in questo modo il lavoro, il collaboratore può mettere in evidenza i propri punti di forza, aumentando al tempo stesso soddisfazione personale e performance lavorativa.
Come ci fa notare Amy Wrzesniewski, Professore Associato presso la Yale School of Management, che assieme alle sue colleghe Jane Dutton and Justin Berg ha sviluppato la metodologia del Job crafting, rimaniamo spesso intrappolati nel pensare che il nostro lavoro sia una lista di cose da fare e di compiti da svolgere. Il Job crafting si propone invece di rendere più ricco di significato ciò che facciamo, e incoraggia i collaboratori a ripensare creativamente il proprio ruolo, apportando sottili ma significativi cambiamenti in quello che fanno.
Sei pronto ad applicare i principi del Job crafting al tuo lavoro? Allora prendi carta e penna e comincia a seguire questi piccoli consigli:

1. RIPENSA CREATIVAMENTE IL TUO LAVORO
La routine che molti di noi si trovano ad affrontare è quella di trascinarsi al lavoro sapendo di avere tutta una serie di cose che dobbiamo fare, dice Wrzesniewski. Il processo del Job crafting prevede, come primo passo, quello di pensare al nostro lavoro in modo olistico. Per prima cosa dobbiamo analizzare quanto tempo, energia e attenzione dedichiamo ai vari compiti e poi riflettiamo su questa distribuzione.
Barbara Fredrickson, autore di Positivity e Professore di Psicologia alla Università del North Carolina a Chapel Hill, dice che è fondamentale prestare attenzione alle emozioni che proviamo durante la giornata lavorativa: è in questo modo, infatti, che riusciremo a scoprire quali sono gli aspetti del nostro lavoro ci ricaricano (life-giving) e quelli che ci prosciugano (life-draining).

2. RAPPRESENTA LA TUA GIORNATA CON UN DIAGRAMMA
Per preparare il terreno in vista del cambiamento, è necessario creare un diagramma che evidenzi dettagliatamente le nostre attività lavorative quotidiane. Il primo obiettivo è capire che cosa facciamo esattamente al lavoro. Successivamente diventerà possibile ideare nuovi modi per integrare la routine giornaliera con le capacità, le motivazioni e le passioni che ci guidano. Trasformiamo poi le liste di compiti in mattoncini flessibili. Il risultato finale sarà un nuovo diagramma che ci servirà come mappa per attuare dei cambiamenti specifici, aiutandoci a capire quali sono le nostre vere priorità.

3. IDENTIFICA COSA AMI E COSA ODI DEL TUO LAVORO
Riconsiderando il modo in cui pensi il tuo lavoro, ti rendi libero per nuove idee su come ridistribuire il tuo tempo e la tua energia. Identifica ciò che ami veramente fare e quello che invece non ti piace. Evidenzia e rafforza gli aspetti del tuo lavoro che ti piacciono di più e cerca un modo per ridurre o rendere più piacevoli quelli che ti appagano poco. Confrontanti con i tuoi colleghi: rimarrai sorpreso nello scoprire che il tuo vicino di scrivania ama fare proprio quello che a te piace di meno!

4. TRASFORMA LE TUE IDEE IN AZIONE
Decidi cosa vuoi cambiare e pensa a come farlo. Valuta che impatto avrà questo cambiamento sull’ambiente lavorativo, pianifica un meeting con un superiore, confrontati con i colleghi. Crea un piano di azione da seguire nel tempo e individua gli obiettivi che vuoi raggiungere. Fissa delle scadenze, valuta i progressi e se necessario aggiusta il tiro.

Ovviamente questo non significa stravolgere il proprio lavoro o non far fronte agli impegni presi. Ognuno di noi ricopre un ruolo che porta con sé dei doveri e delle responsabilità. Al tempo stesso però non è consigliabile fissarsi solo sugli obblighi, ma è giusto avere la possibilità di sentire il proprio lavoro come un qualcosa che ci rappresenti e ci faccia stare bene, visto che dedichiamo al lavoro la maggior parte della nostra vita.
Al contrario di molti volumi sul management, che ci consigliano di influenzare i collaboratori con incentivi di ogni genere, il Job crafting pone l’attenzione su quello che gli stessi collaboratori possono fare per rivedere e reinventare quello che fanno quotidianamente, permettendo loro di accrescere il controllo sulla propria vita professionale. In questo modo diminuiscono disaffezione e  turnover e aumentano soddisfazione e produttività.
Anche un piccolo cambiamento può portare grandi risultati e farci stare bene. E benessere per noi significa benessere anche per chi sta intorno a noi.
Articolo di Camilla Targher, pubblicato sul Magazine Migliorare Anno II n. 6, 2010

mercoledì 16 marzo 2011

S.O.S. curriculum

Il Curriculum vitae è un vero e proprio biglietto da visita per attirare l'attenzione e al tempo stesso convincere il nostro interlocutore che siamo proprio noi la persona che sta cercando.
Abbiamo già visto nei post precedenti quanto sia importante documentarsi in modo approfondito sull’azienda alla quale vogliamo proporre la nostra auto candidatura.
A questo punto, i passaggi obbligati sono due: scrivere una buona lettera di presentazione e preparare un buon curriculum. Semplice, no?

LA LETTERA DI PRESENTAZIONE

Si tratta di un messaggio chiaro e sintetico che precede il curriculum, dove spiegare brevemente le motivazioni per le quali si ambisce a quel posto di lavoro. Se si manda il curriculum via e-mail, non è opportuno allegare un ulteriore documento: è meglio scrivere la lettera direttamente all'interno del corpo del messaggio.
Ciò che vogliamo ottenere dalla lettera di presentazione è che l’interlocutore sia invogliato a leggere il nostro curriculum, per questo è essenziale essere concisi e mirare al punto giusto. Non dimentichiamo che il selezionatore, letteralmente sommerso da ondate di CV, ci dedicherà pochi secondi di attenzione durante i quali deciderà se “cestinarci” o continuare a leggere. Essere capaci di fare subito centro diventa quindi essenziale e questione di poche parole: quelle giuste!
Gentile Responsabile del personale
mi chiamo …….. In riferimento all’annuncio apparso su ….... vorrei candidarmi per la posizione di …..... Allego il mio curriculum vitae, in attesa di essere convocato per un colloquio conoscitivo.
Sono un laureato in …... , con una forte predisposizione per il settore …... ed un’esperienza come ……. Resto a disposizione per qualsiasi chiarimento e approfondimento e nell'attesa porgo distinti saluti. Data e firma.

IL CURRICULUM VITAE

Un curriculum vincente segue poche regole per la composizione: chiarezza, ordine, precisione e sintesi sono fondamentali, ma anche la forma vuole la sua parte. E’ preferibile dividere le informazioni in sezioni, evidenziando in grassetto l’argomento trattato di volta in volta, e assicurarsi di includere i seguenti paragrafi:

Dati anagrafici
Nome, cognome, data e luogo di nascita, nazionalità, indirizzo di residenza, indirizzo di domicilio, contatto telefonico fisso e mobile, e-mail, eventuale sito personale, patente e mezzo proprio.

Istruzione e formazione
Partendo dall’esperienza più recente (corsi di formazione/specializzazione) e andando a ritroso: laurea, diploma, ecc. indicando la votazione solo se alta.

Esperienze lavorative
Partendo dalla più recente, indicare per ogni esperienza il periodo di riferimento, il nome dell’azienda, la mansione ricoperta e i risultati ottenuti.
Se invece non abbiamo molta esperienza, cerchiamo di evidenziare le nostre qualità e le attitudini che meglio si adattano al profilo professionale ricercato o a cui aspiriamo. Indichiamo eventuali stage, tirocini ed esperienze anche brevi ma significative.  

Conoscenze/capacità/interessi
Inserire le conoscenze utili all’ottenimento di quel posto di lavoro, come conoscenze informatiche, lingue straniere, ecc. Un accenno a passioni e hobby, se pertinenti a far capire che la propria personalità incarna bene la cultura d’impresa.

Disponibilità lavorativa
Indicare se si è disponibili a svolgere un part-time, se si accettano contratti a termine, oppure la disponibilità a trasferimenti in Italia e all'estero.

Da non dimenticare: l’autorizzazione al trattamento dei propri dati ai sensi del DLG 196/03.

E, per finire, alcuni piccoli ma preziosi suggerimenti:
- basta con i CV formato Europass… un po’ di originalità, please!
- scrivete in prima persona, utilizzando un linguaggio semplice e diretto
- non superate le due (massimo tre) pagine di lunghezza
- assicuratevi di correggere eventuali errori ortografici
- evitate di pubblicare sui social network foto e/o dichiarazioni di cui potreste pentirvi…

venerdì 25 febbraio 2011

Tutte donne (tranne il Capo) alla Msc

Ho appena letto un simpatico articolo in cui veniva riportata l’esperienza di Herr René Mägli: nel suo ufficio sono tutte signore, anzi Lady, come le chiama lui. O meglio, tutte tranne lui: 89 donne e un solo uomo, il capo! Un caso senz’altro unico in Svizzera, ma anche in Europa e probabilmente al mondo.
La direzione della compagnia di navigazione Msc da Basilea governa un'impresa di 50 mila dipendenti e una flotta di transatlantici da crociera e grandi navi container. Mägli, 60 anni, assume donne semplicemente perché secondo lui sono meglio degli uomini: dimostrano un migliore spirito di squadra, lavorano meglio in team, non sono preda della competitività, non vogliono dimostrare sempre a tutti i costi la loro superiorità. Ma soprattutto lavorano per l'azienda, non per il proprio ego.
Mägli non ha un ufficio privato e nemmeno una segretaria personale, ma preferisce lavorare in una grande sala open space assieme a tutte le impiegate e se qualcuna ha delle difficoltà può chiedergli un consiglio in modo diretto. Una gestione in parte discutibile, perché in questo modo, pur avendo una squadra unicamente composta da donne, l’unico che abbia veramente potere decisionale, verrebbe da dire, è proprio lui.
In ogni caso bisogna prendere atto che dal 2005 ad oggi la Msc, grazie al suo team al femminile, ha aumentato il fatturato tra il 20 e il 25% all'anno. Fra l’altro Mägli non considera un problema i periodi di assenza per maternità, dopo il quale lascia che sia la dipendente a scegliere in che percentuale vuole dividersi tra lavoro e la famiglia, senza ansie né conflitti.

«Io non sono un benefattore, non sono un innovatore, sono solo un uomo d'affari che bada ai suoi conti, e scelgo i migliori, anzi le migliori», commenta Mägli con autoironia. Non è un caso che siano sempre meno gli uomini che si candidano per la Msc…

martedì 8 febbraio 2011

Lo sterile spamming di CV

Scrivere un curriculum è facile. Scrivere un buon curriculum è un po’ meno semplice e richiede impegno e attenzione. Per non incorrere in errori grossolani (vedi post precedente) che rischiano di precludervi occasioni e possibilità, meglio seguire qualche regola pratica ma indispensabile, affinché il vostro curriculum non sia semplicemente uno sterile ed impreciso elenco di cose che più o meno avete fatto sino ad oggi, bensì un’arma vincente per attirare e conquistare l’attenzione di chi potrebbe offrirvi quel fantastico posto di lavoro che sognate da tempo.
Un biglietto da visita che catturi l’attenzione e la curiosità del selezionatore e che comunichi che siete proprio voi la persona da chiamare. L’obiettivo è infatti proprio quello di far emergere il proprio profilo fra le decine, centinaia (migliaia?) di altre candidature. Perché chi ti legge dovrebbe chiamarti? Cosa hai tu in più o di migliore rispetto a tutti gli altri?
Un aspetto che viene spesso sottovalutato ma che non sarebbe assolutamente da sottovalutare è il fatto di conoscere le esigenze dell’azienda alla quale mandate il vostro CV e possibilmente anche le caratteristiche del profilo ricercato. In questo modo sarete in grado di personalizzarlo, evidenziando quelle caratteristiche e quelle esperienze che più sono in linea con la figura ricercata (per esempio, se vi candidate per una posizione che ricede la conoscenza delle lingue straniere, darete ampia visibilità alle esperienze maturate all’estero, mentre se vi candidate per una posizione che richiede l’uso esclusivo della lingua italiana, diventerebbe superfluo elencare quella vacanza studio della durata di 3 giorni e mezzo che avete fatto quando eravate alle medie…).
Tenete quindi sempre presente la pertinenza del vostro profilo rispetto alle esigenze aziendali ed evitate di spammare il vostro CV in un’unica versione a tutte le aziende del globo! Porta molti più risultati scegliere poche aziende da contattare e per ognuna “tarare” diversamente il proprio curriculum, quindi non pensiate di fare prima a trovare lavoro candidandovi in modo generico ovunque: non porterebbe a nulla.
Evitate anche di proporvi per due posizioni diverse all’interno della stessa azienda. Dovete convincere il selezionatore a vedervi come LA soluzione a quella determinata esigenza, perchè avete le competenze e la motivazione necessaria, perché siete perfetti per quella mansione. Candidarsi a più ruoli (o peggio ancora arrivare a colloquio e dire: va bene tutto, basta lavorare!) svaluta molto la percezione che il selezionatore ha del vostro valore e non vi fa vedere realmente motivati.
Nei prossimi post vedremo più nel dettaglio come strutturare un buon curriculum e come farlo diventare lo strumento in grado di aprirvi più porte possibili.

venerdì 28 gennaio 2011

curricula ridicula

Qualche anno fa è uscito in edicola un esilarante libro dal titolo: “La mia azienda sta stirando le cuoia. 1000 curricula ridicula dell’Italia che cerca lavoro”.
L’autore si nasconde sotto lo pseudonimo di “Enza Consul”, ma si tratta probabilmente di un professionista della selezione del personale, che ha riportato in questo libro il peggio di quanto raccolto in quindici anni di attività.
Ne riporto alcuni estratti, liberamente interpretati:

L'ESORDIO
L'alfabeto? - Sono un laureato in economia e commercio, vi scrivo perché voglio diventare un manager con la A maiuscola.
Col binocolo - Ho visualizzato la Vs. inserzione leggendola sul giornale.
Poliziesco - Allego alla presente il mio identikid.
Infiltrati - Vi chiedo di essere infiltrato nella vostra Banca dati.
Aiuto! - Prendo sputo dalla vostra inserzione.
Station wagon - In risposta al Vostro annuncio premetto che dispongo di un ampio bagagliaio d'esperienza.
Lacrime amare - Mi sono impelagato in un lavoro che fa piangere.
Saldi - Sono in offerta speciale perché tra due giorni mi dimetto.
Non vale un gran che - Allego un breve straccio del mio curriculum.
Curricula forati - Se nel mio curriculum trovate due buchi è perché ho avuto due figlie
Just in retard - Spero di essere ancora "just in time" per inviarvi un curriculum, anche se sono passati 32 giorni dall'inserzione.
L'africano - Mi è giunto il tam-tam della vostra ricerca.
Avrà sonno - Vi farò una breve ricapitolazione del mio bedground
Barbiere di Siviglia - Volete un venditore coi baffi, pelo e contropelo?
Fiaba - C'era una volta un laureato in filosofia al primo impiego che cercava lavoro.
Demenziale - Vi ringrazio del Vs. invito, ma siccome ci ho ripensato, non accetto inviti da sconosciuti
Superalcolica - La vostra offerta mi inebria
Magellano - Vi allego una breve ma mi auguro chiara circumnavigazione delle mie esperienze professionali
Modesto - La mia può sembrare un'Odissea, ma Ulisse in confronto non è nessuno, ho viaggiato per tutta la vita.
Tascabile - Il mio curriculum è breve e potrebbe stare nel palmo di una mano: sono monoaziendale.
Salomè - Non ho segreti, vi scrivo senza veli
San Giovanni - Ecco la mia testa su un piatto d'argento
La piovra - La vostra inserzione è tentacolare
Coerente - Sono perito agrario ancora in erba.

COME SI PRESENTANO
Capelluto puntuale - Non sono calvo e ho il fisic du rolex
Pinocchio - Sono un tipo piuttosto longiligneo..
I nostri eroi - Mio padre è stato ufficiale della Guardia di Finanza, che salva più vite umane degli stessi medici e a rischio della propria.
Gerarchie - Stato di famiglia: padre, madre, fratello inferiore. Per le mamme siamo sempre bambini. Ho due bambini piccoli di 12 e 18 anni.
Parentado colto - Circa trenta dei miei parenti sono laureati, come il fratello di mia madre. Circa venti dei miei parenti sono diplomati alle scuole medie superiori.
Vocazione familiare - Sono sposato ragioniere, mia moglie è ragioniera, i miei figli ragionieri
Parenti d'acciaio - Il marito di una cugina di mio padre da parte di mio nonno paterno era ingegnere
Tira e molla - Mi sono separato, poi divorziato, poi risposato poi ancora separato, adesso non ci casco più
Culturista - Alto: 1.83; pesante: 60 kg. Miei punti di forza: bicipite 40 cm intrazione, torace 140 cm, capacità inspiratoria 10 litri.
Bidonato - Ho sposato un'ereditiera che però non ha mai ereditato
Sa anche contare! - Se prima eravamo in due, adesso col bambino siamo in tre
Scoppia di salute - Di salute sto più che bene, e posso migliorare dopo quattro piccoli interventi chirurgici
Buongustaio - Qui ora c'è la parte più appetitosa del mio curriculum.
Figlio di calcolatrice - Ritengo di essere di natura contabile.
L'arcobaleno - Come potete vedere il mio è un curriculum variopinto

STUDI E QUALIFICHE
Cosa contano i posteriori - Ai fini di un'assunzione a posteriori della mia laurea
Diploma meritato - Titolo di studio: Raggioniere
Audioleso - Ho fatto un corso di specializzazione alla Sordona
Padrelingua - Sono di padre-madre-lingua inglese
Come farà al telefono? - L'italiano lo conosco bene, ed è già di pochi, le lingue straniere sono scolastiche ma me la cavo con la mimica
Che cosa vorrà dire? - Lingue attive: anglo americano. Lingue passive: francese
Sospetto - Non sono un pataccaro, anche se vendo orologi
Se lo dice lui - Non sono un markettaro, ma un uomo di vendita
Il cacciatore - Nell'ultima battuta ho portato a casa 50 clienti
Beato lui - Sono depositario di cultura parauniversitaria e polifunzionale
E allora? - Ho partecipato ad un gioco quiz di Mike Bongiorno
Deamicisiano - A otto anni prima di andare a scuola vendevo tutte le mattine un cestinodi frutta. I miei clienti erano operai che con un pezzo di pane del giorno precedente ed il mio genuino prodotto potevano gustare un lauto pranzo. A 14 anni pur continuando a studiare ho avuto una qualifica commerciale superiore e infatti sono passato da venditore abusivo ad ambulante con banco mobile
Sì, si vede - Come vedete sono un autodidattico
Libero a pranzo - Prima lavoravo sotto padrone, ma adesso faccio il free-lunch

ASPIRAZIONI
Discreto - Ve lo scrivo sotto voce, ho intenzione di cambiare
Il juke box - Per la cronaca sono molto gettonato, cioè ho molte offerte
Fantino - Nonostante sia saldamente in sella al vertice aziendale
Il gambero - La mia escalation professionale è in discesa
Il faraone - Opero soltanto per obiettivi ed aspiro ad una carriera piramidale
Ambizioni concrete - Per tanti soldi, prestigio, e avere una segretaria bella e disponibile e con le tette grosse
La medaglia a tre facce - Ci sono tre facce della medaglia che mi spingono ad andar via: la prima, la distanza. La seconda: i soldi. La terza: mia moglie che lavora nel mio ufficio e già la sopporto a casa.
Pregate - La crisi ci ha messo inginocchiati
Voglia di Carriera - Sono pronta a partire dal primo gradino, ma, se posso essere sincera, me lo risparmierei volentieri
Allora quando? - Non sono abituato a mercanteggiare quando si parla di soldi
Pagamento alla consegna - Del colore dei soldi ne parleremo in un eventuale colloquio
Politico - Riguardo allo stipendio vorrei definire il quorum
Il riscatto - Aspettativa economica: vanno bene soldi anche di piccolo taglio basta che non siano al di sotto dei 40 milioni lordi

ALTRE PERLE VARIE
Richiedo un salario commiserato con la mia vasta esperienza
Ho imporoto Word Perfect 6.0 ed altri progrommi come figli di colculo.
Ho ricevuto una tacca come Venditore dell'Anno.
Interamente responsabile per il fallimento di due (2) istituzioni finanziarie.
Bocciato all'esame per magistrato con voti relativamente alti.
Consiglio al datore di lavoro di non farmi lavorare con altre persone.
Incontriamoci, così potrai meravigliarti della mia esperienza.
Mi farai diventare il tuo Super-Mega Boss in pochissimo tempo.
Sono un perfezzionista, e raramente anzi anzi quasi mai dimentico i dettagli.
Lavoravo per mia madre, finchè non ha deciso di trasferirsi.
Stato civile: Nubile. Non sposata. Non fidanzata. Senza relazioni sentimentali. Senza impegni futuri.
Sono diventato completamente paranoide, non credo in niente e nessuno.
Il mio obiettivo e' diventare meteorologo, ma poiche' non ho un titolo di studio in quel settore, credo che posso anche provare a diventare agente di borsa.
Interessi personali: Donare il sangue. Finora ne ho donati 50 litri.
Ho rivestito un ruolo essenziale nel rovinare un'intera operazione per l'acquisto di una catena di negozi.
Nota: Si prega di non interpretare male il fatto che ho cambiato 14 lavori. Non ho mai dato le dimissioni da un lavoro.
Sposata: spesso. Bambini: svariati.
Ragione per la quale si è lasciata l'ultima occupazione: Insistevano che tutti gli impiegati andassero al lavoro alle 8.45 ogni mattina. Non potevo lavorare sotto quelle condizioni.
La ditta ha fatto di me un capro espiatorio, proprio come i miei tre precedenti datori di lavoro.
Sono risultato ottavo in un esame al quale hanno partecipato dieci candidati.
Possibili referenze: Nessuna. Ho lasciato un cammino di distruzione dietro di me.
Lingue conosciute: Inglese; ho frequentato corsi "fool" immersion di livello avanzato