sabato 20 ottobre 2012

Italiani "mammoni"


Qualche giorno fa mi sono imbattuta nella pubblicità di una società immobiliare Norvegese, uno spot ironico e pungente che spiega ai giovani norvegesi come sia meglio uscire di casa presto, per evitare di ridursi come i nostri mammoni

Il tutto condito da situazioni al limite del paradosso, in cui si vede una mamma italiana che prepara il bagnetto per il figlio (ormai quarantenne) e che gli fa il solletico sotto il piedino, oppure un’altra mamma che dice “mio figlio è troppo importante per cucinarsi il pranzo da solo” e che lo imbocca dopo aver cucinato per lui, oppure un’altra ancora che augura buona notte al proprio figlio (adulto), rimboccandogli ancora le coperte.

Provocazioni? Estremismi? Stereotipi? Sicuramente sì, nel senso che alcune situazioni sono volutamente enfatizzate ed esagerate, ma non per questo prive di verità. Si parla molto ultimamente di mammoni e di bamboccioni e ci si divide fra chi ritiene che vergognosamente in Italia si rimanga a casa molto più a lungo che in qualsiasi altro Paese d’Europa (e non solo…) e chi invece argomenta la questione descrivendo come impossibile uscire di casa presto con un lavoro precario ed uno stipendio a meno di 1000 euro al mese, che rende la permanenza a casa non una scelta bensì una necessità.

Sicuramente ci sono alcuni fattori oggettivi importanti e non trascurabili e certamente il fatto di essere un Paese (l’Italia) con seri problemi in termini di occupazione e retribuzione non facilità i giovani a scelte di indipendenza. D’altra parte, però, c’è anche un’abitudine a considerarsi “piccoli” oltremodo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, è normale che un ragazzo/a durante le superiori si trovi un lavoro (cameriere e lavapiatti fra i più gettonati) che lo impegni al pomeriggio dopo scuola, per cominciare ad avere una prima disponibilità economica per pagarsi le spese non strettamente necessarie che, anche se vive ancora in casa, preferisce non far gravare sui genitori (cinema, profumo, vacanza, ecc.).

In Inghilterra è normale che chi frequenta l’Università, oltre a studiare di giorno, si trovi un lavoretto (anche il portiere di notte, se necessario) per pagarsi gli extra e parte degli studi, e dico questi cose perché sono vissuta all’estero alcuni anni e le ho viste con i miei occhi: i giovani fanno tutto il possibile per uscire presto di casa!

Qui in Italia, invece, mi capita spesso di vedere l’esatto contrario: pochi giorni fa ho sentito un “ragazzo” di 40 anni dire al proprio datore di lavoro che il motivo per cui il mattino è arrivato tardi al lavoro è perché i genitori non l’hanno svegliato in tempo. E’ troppo pretendere che uno a 40 anni sappia usare la sveglia da solo?! Un altro ha chiesto di poter iniziare più tardi il turno del pomeriggio, perché altrimenti non ha il tempo per tornare a casa in pausa pranzo e la sua mamma ci rimane male se non mangia con lei. Cose dell’altro mondo? No, cose di questo mondo: cose all’italiana.

Questo a mio avviso significa che le cause che portano gli italiani a stare ancora in casa a 40 anni sono fondamentalmente due: ECONOMICA (le difficoltà oggettive dovute a contratti precari e scarsa retribuzione) ma anche e soprattutto CULTURALE, ovvero la comodità di vivere da grandi come se si fosse ancora piccoli, perché è più comodo non crescere, perché è più facile non prendersi le proprie responsabilità (complici le mamme che non voglio rinunciare alla loro insostituibilità). 

Non si può modificare la cultura di un Paese in un istante e forse non sarebbe nemmeno giusto farlo, ma almeno non raccontiamocela quando additiamo alla situazione economica l’UNICA causa dello stare a casa ad oltranza, non è così.

giovedì 4 ottobre 2012

benvenuto stress


Siamo abituati a pensare allo stress come ad un qualcosa di negativo, da sconfiggere in tutti i modi. Il termine stress deriva dall’inglese e significa letteralmente tensione, sforzo, sollecitazione. Nel linguaggio comune è usato come sinonimo di ansia e affaticamento psico-fisico, in rapporto a situazioni di vita ad alto contenuto emotivo.
 Eppure esiste un tipo di stress, chiamato eustress, che ha una valenza positiva.

Si può parlare di eustress, ovvero di stress positivo, quando lo stress riguarda fenomeni di breve durata, in grado di rilasciare la giusta dose di adrenalina, che ci permette di sentirci particolarmente forti ed in grado di affrontare le sfide. Al contrario, lo stress si chiama distress e diventa negativo quando si protrae per periodi prolungati di tempo, finendo per divenire cronico.

Quando si parla di eustress ci si riferisce quindi ad un carico di tensione sopportabile che porta il nostro organismo a reagire agli input esterni e ad adattarsi con facilità ai cambiamenti improvvisi nell’ambiente. Quando invece la reazione di stress è troppo intensa o lo stimolo eccessivamente prolungato, si parla di stress cronico che a lungo andare può trasformarsi in disturbi d’ansia di vario tipo.

Questo significa che lo stress di per sé non fa male, a patto che si abbia il giusto tempo per recuperare! Considerando che la risposta allo stress è soggettiva e che alcune persone lo sopportano meglio di altre, è indispensabile capire quali sono gli stressors o agenti stressanti che ci mettono alla prova e, se possibile, ridurne l’influenza.

Ad esempio, coltivare un semplice hobby come andare in palestra può essere estremamente benefico per alcuni (un modo liberatorio per scaricare la tensione dopo una giornata in ufficio) ma dannoso per altri (uscire di corsa dal lavoro, restare imbottigliati nel traffico e innervosirsi ulteriormente perché siamo in ritardo per la lezione di spinning, alla quale arriviamo assolutamente esausti, mentre tutto quello che sognamo sono una doccia rilassante e un bel letto caldo).

Questo significa che non esiste qualcosa che in assoluto ci faccia stare bene o al contrario ci metta necessariamente in difficoltà. L’importante è fermarsi anche solo 5 minuti ad ascoltarsi, a valutare se il proprio stile di vita è in armonia con il proprio ritmo naturale e ad ammettere a noi stessi che non possiamo chiedere l’impossibile al nostro corpo-mente.

Ci saranno ovviamente scadenze ed impegni che non possiamo in alcun modo demandare, ma troveremo anche tante piccole cose in grado di farci stare bene. Potremmo ad esempio cominciare a coltivare tutte quelle situazioni portatrici di eustress, che la psicologa neozelandese Alice Boyes individua in 5 precise attività:

-       innamorarsi
-       viaggiare
-       affrontare gradualmente le proprie paure
-       introdurre un cambiamento nella propria vita
-       essere curiosi nei confronti delle novità

Buon eustress a tutti!