giovedì 25 novembre 2010

il silenzio degli in-dipendenti

Oggi, più che mai, la comunicazione è diventata un elemento centrale dell’attività lavorativa. Indipendentemente dal lavoro che facciamo, noi comunichiamo. Con i soci, con i responsabili, con i colleghi, con i clienti, con i fornitori, noi comunichiamo.
La comunicazione, infatti, è lo strumento che ci consente di farci conoscere, di rapportarci agli altri, di entrare in relazione e di influire sull'ambiente circostante. Sul lavoro ci permette inoltre di far capire le nostre esigenze, di ampliare le nostre conoscenze e di crescere professionalmente.
Ben  si comprende, allora, come una buona comunicazione all’interno dell’ambiente lavorativo sia fondamentale, considerando che vi si trascorrono almeno otto ore al giorno, per cinque giorni alla settimana. Al contrario, lavorare in un ambiente dove la comunicazione è problematica e dove i rapporti interpersonali sono stressanti, fonti di conflitto e incomprensioni, a lungo andare logora e influisce negativamente sia sulla sfera sociale, compromettendo il nostro equilibrio psicofisico, sia su quella strettamente lavorativa, rendendoci più insicuri e meno produttivi.
Una comunicazione fluida e positiva, però, non è sempre scontata. Capita spesso, infatti, e non solo quando si è all’inizio di un incarico professionale, ma anche dopo una consolidata esperienza lavorativa, di trovarsi in situazioni in cui si ha bisogno di aiuto. 
Ma capita altrettanto spesso di essere riluttanti a chiederlo. Le ragioni sono tante: imbarazzo nel mostrare di non aver capito, disagio nei confronti di un superiore che ci mette in soggezione, paura di deluderne le aspettative, timore di fare brutta figura, desiderio di mostrarsi in-dipendenti.
Sicuramente conta molto anche il modo in cui un superiore si rivolge ai propri collaboratori. Anche in questo caso, infatti, sono molteplici i fattori che influiscono sul buon esito di una conversazione: la fretta innanzitutto (non abbiamo mai tempo per niente, figuriamoci per spiegare per l’ennesima volta come svolgere un compito), parlare velocemente, usare un linguaggio troppo tecnico, non assicurarsi che il nostro interlocutore abbia realmente capito, mostrarsi distratti, preoccupati o pensierosi.
A proposito di “Cosa pensa e cosa intende fare davvero il capo-ufficio?”, un'indagine statunitense realizzata dalla Lynn Taylor Consulting ha calcolato che i dipendenti passano circa 20 ore alla settimana a interrogarsi su quello che pensa realmente il loro capo, evidenziando così le sottili implicazioni che nascono dai rapporti gerarchici all’interno di un’azienda, oltre all’elevato consumo di tempo e di energie che il modo di porsi di un manager o di un titolare possono causare sul personale.
Risulta quindi chiaro come, se da una parte un ruolo fondamentale lo gioca la personalità del singolo collaboratore, che soprattutto se è timido e riservato può avere maggiori difficoltà nel rivolgersi ad un superiore per chiedere spiegazioni, dall’altra parte riveste un ruolo altrettanto fondamentale il modo che titolari, responsabili o anche semplicemente colleghi più “anziani” hanno di porsi di fronte a chi avrebbe bisogno del loro aiuto.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono le conseguenze di una comunicazione insufficiente sul lavoro. Le conseguenze per il singolo sono, nel medio e lungo termine: perdita di tempo e di energie, calo di autostima e di concentrazione, malessere fisico, scarsi progressi, minor produttività (che è direttamente connessa con l’emotività), aumento del numero di permessi dal lavoro e di assenze per malattia, poca soddisfazione, scarsa fidelizzazione. Le conseguenze per l’azienda: prodotti di scarsa qualità, personale poco qualificato, poco produttivo e poco motivato, ritardi nella consegna del prodotto/servizio, clientela insoddisfatta che si rivolge alla concorrenza, maggiori spese, minori guadagni e conseguente riduzione degli utili.
Sembra fantascienza, ma in realtà una scarsa comunicazione in azienda è una situazione piuttosto comune, anche se spesso non ci rendiamo conto di che cosa questo comporti davvero per il singolo e per l’azienda stessa. In realtà, per ovviare a questa situazione basterebbero alcuni piccoli, quanto fondamentali, accorgimenti. Quando inseriamo una nuova risorsa in azienda, cambiamo ruolo o promuoviamo un dipendente, assicuriamoci di chiarire bene quali saranno i suoi compiti e cosa ci aspettiamo che ottenga. Mettiamolo a proprio agio e rafforziamo il suo lavoro con l’ausilio di un mansionario, contenente indicazioni precise. Assicuriamoci che qualcuno con più esperienza di lui lo affianchi e sia pronto ad accompagnarlo verso una piena autonomia. Programmiamo assieme a lui un percorso di formazione, verifichiamone i progressi e, all’occorrenza, aggiustiamo il tiro.
Rimaniamo a sua disposizione per qualsiasi chiarimento, anche perché una richiesta di aiuto altro non è che una manifestazione della voglia di imparare, di mettersi in gioco, e questa è la strada per diventare veramente in-dipendenti. Rivolgere una domanda è sintomo di stima e di fiducia nel nostro interlocutore, è riconoscergli il fatto di saperne di più, di poterci insegnare qualcosa di importante.
Alla luce di queste considerazioni appare chiaro come, facendo del dialogo e della comunicazione una pratica quotidiana, non solo renderemo i nostri collaboratori più performanti, ma contribuiremo a rafforzare le dinamiche di gruppo e a creare un ambiente di lavoro più sereno e produttivo.
E’ in gioco il nostro benessere personale e quello della nostra azienda. Perché l’armonia, quando c’è, fa stare meglio. Tutti.
Articolo di Camilla Targher, pubblicato sul Magazine Migliorare Anno II n. 4, 2010

venerdì 12 novembre 2010

scuse improbabili bis

Dopo aver passato in rassegna le 10 scuse più improbabili che i datori di lavoro americani si sono sentiti raccontare dai collaboratori nel 2010, vi riporto un’altra carrellata di scuse bizzarre che hanno caratterizzato il 2008 e 2009 e che riguardano non solo le assenze, ma anche le giustificazioni per i ritardi con cui si arriva il mattino al lavoro.

Queste, a mio avviso, le più degne di nota:
- Il termosifone non funzionava e sono dovuto rimanere a casa per riscaldare il mio serpente

- Mio marito mi ha nascosto le chiavi della macchina prima di andare al lavoro

- Dovevo andare al bingo

- Sono stato aggredito da un procione e ho dovuto fermarmi in ospedale per controllare che non mi avesse trasmesso la rabbia

- Ho camminato su una ragnatela appena fuori dall'uscio di casa e non sono riuscito a trovare il ragno,  così ho dovuto rientrare in casa e rifarmi la doccia

- Ho donato troppo sangue

- Stamattina presto ho avuto un infarto al cuore ma ora sto benone

- Ho ingoiato troppo dentificio lavandomi i denti

- Ho urtato un tacchino mentre andavo in bici

- Mia moglie mi ha bruciato tutti i vestiti e non sapevo cosa mettermi per venire a lavoro



Certo, non vi è dubbio che queste scuse siano oltremodo divertenti e fantasiose, ma questo non significa necessariamente che ai datori di lavoro piaccia sentirsi presi in giro. Anzi, negli Stati Uniti alcune di queste scuse hanno portato addirittura al licenziamento! 
Pertanto il mio consiglio è: siate sinceri e dite, in totale trasparenza, qual'è il motivo della vostra assenza. Non vi prometto che il vostro titolare capirà, ma sicuramente apprezzerà (a patto che non succeda più)!

venerdì 5 novembre 2010

scuse improbabili

Dopo aver passato in rassegna una carrellata di risposte discutibili date da candidati che ho incontrato negli anni durante vari colloqui di selezione, passiamo ora a quelle che possono essere le scuse più improbabili utilizzate da chi il lavoro ce l’ha, ma quel giorno proprio non ne vuole sapere.
Ovvio, i motivi per non recarsi al lavoro possono essere reali e a volte anche gravi, ma leggendo questa ricerca condotta dalla Careerbuilder.com negli States, il sospetto che in questi casi si tratti di una scusa palesemente inventata e inverosimile è quantomeno plausibile!
Fra i circa 2400 datori di lavoro intervistati sul fenomeno dell’assenteismo, questa è la classifica delle giustificazioni più improbabili e divertenti che si sono sentiti raccontare dai loro collaboratori:
1° posto: una gallina ha aggredito mia madre
2° mi è rimasto intrappolato il dito in una palla da bowling
3° non posso presentarmi in ufficio perché non è riuscito bene il trapianto di capelli
4° mi sono addormentato sulla scrivania mentre lavoravo e ho sbattuto la testa ferendomi il collo
5° una mucca ha fatto irruzione in casa e ora devo attendere l’assicuratore per valutare i danni
6° ho litigato con la fidanzata e lei ha buttato dalla finestra il mio amato Sit n Spin (un giocattolo anni’70)
7° non riesco a camminare perché sono finito col piede nel tritarifiuti
8° l’impiegato che ha chiamato il capo dal pub alle 5 di pomeriggio, dicendo che l’indomani sarebbe stato malato
9° non vengo perché oggi non mi sento troppo intelligente
10° devo tagliare l’erba del prato per evitare un’azione legale da parte dei proprietari di casa