mercoledì 28 marzo 2012

Plutarco

Individuare una colpa è facile; 

è fare meglio che può essere difficile.


Plutarco (scrittore e filosofo greco)

lunedì 19 marzo 2012

il conflitto in azienda



In azienda lavorano fianco a fianco persone differenti per carattere, età, formazione, aspirazioni e aspettative e numerose sono le situazioni di potenziale conflittualità: fra titolari, tra colleghi, fra reparti, con i clienti, i fornitori e così via. Il conflitto è una componente intrinseca alla diversità ed è quindi naturale trovarlo all’interno del contesto lavorativo. Non possiamo annullarlo, ma possiamo imparare a riconoscerlo e a gestirlo in maniera adeguata.

Il conflitto ha una componente potenzialmente positiva nell’ambito delle relazioni: ci aiuta a comprendere che cosa desideriamo e che cosa desiderano gli altri, stimolando entrambe le parti a cogliere i fattori determinanti che influiscono sulle decisioni da prendere. Quando il conflitto non trova canali di elaborazione, porta a situazioni di disagio e di stress, fino ad arrivare a scontri (verbali o fisici) per non parlare di vertenze giudiziarie lunghe e costose, che portano spesso ad una “soluzione” imposta, che difficilmente porterà ad una ripresa della comunicazione e del dialogo fra le parti. In un simile contesto si creano anzi i presupposti per la nascita di nuovi conflitti, in quanto quelli precedenti non sono in realtà mai stati gestiti o interamente risolti.

A seconda di come viene gestito all’interno di un gruppo, il conflitto può essere costruttivo o distruttivo. Il conflitto distruttivo si manifesta in un tipo di comunicazione competitiva in cui ognuno tende ad imporre le proprie idee e a dimostrare al resto del gruppo di avere ragione. Si tratta di un rapporto “win-lose”, dove uno vince e gli altri perdono. La circolazione delle informazioni e la libertà di espressione si riducono gradualmente e i membri del gruppo (o una parte di essi) finiscono per omologarsi al più forte, oppure scelgono di stare sulla difensiva per non rischiare attacchi personali. Le relazioni interpersonali e il clima aziendale risentono di queste dinamiche, con conseguenze in negativo sullo stress e sulla produttività, distogliendo le risorse coinvolte dagli obiettivi aziendali.

Il conflitto costruttivo si innesca quando i membri di un gruppo riconoscono il disaccordo come un aspetto naturale nelle dinamiche di gruppo e lo considerano un’occasione di crescita e di arricchimento. Si cerca, all’interno delle diverse opinioni, di trovare i fattori di accordo, in un’ottica “win-win” dove tutti hanno pari dignità e possono esprimere liberamente il proprio parare, consapevoli del fatto che ciò che verrà preso in considerazione e discusso sono i contenuti delle proposte e non gli aspetti personali o caratteriali di chi le propone. Ciò che conta non è imporre le proprie idee, ma ascoltare i reciproci punti di vista e dimostrare per primi la propria disponibilità a cambiare parere, in un contesto dove tutti possono partecipare alla discussione sentendosi liberi di esprimere la propria opinione, in un clima di partecipazione attiva. Per queste ragioni il conflitto costruttivo è un ingrediente fondamentale nel lavoro di gruppo: consente a chi ne fa parte di ampliare la comprensione dei problemi e di sviluppare una gamma più ampia di soluzioni ed idee.

A volte la presenza di conflitti rende difficile la vita in azienda, il clima relazionale si deteriora, viene meno la coesione di gruppo, diminuisce la motivazione e aumenta il senso di impotenza: il calo dell’autostima e la demotivazione sono le reazioni più frequenti di fronte a situazioni di conflitto, latente o manifesto. Per innescare il conflitto positivo è necessario vincere l’orgoglio personale ed imparare a riconoscere il contributo di ogni singola persona, in particolare se la pensa in modo diverso dal nostro.

lunedì 12 marzo 2012

la neutralità del conflitto


Nella nostra società, così come in famiglia, a scuola o sul lavoro, assistiamo alla presenza costante del conflitto. Che sia fra nazioni, fra le parti sociali, fra datori di lavoro e dipendenti, fra marito e moglie, fra genitori e figli, fra vicini di casa o fra alunni e insegnanti, sembra che ogni contesto sia pervaso dalla conflittualità. Ma che cos’è il conflitto? Da cosa è causato?
Senza voler essere esaustivi sull’argomento, sul quale è stato scritto moltissimo ma che al contempo continua ad essere difficile ed enigmatico da sviscerare, possiamo cominciare dall’etimologia del vocabolo conflitto, che deriva dal latino conflictus, composto di cum (con) e fligere (urtare, sbattere contro), quindi un urtare/uno sbattere contro qualcosa. Questo comporta che ci siano due parti in causa, che per divergenza di opinioni, idee, interessi si scontrano fra loro.
Siamo “culturalmente” portati ad attribuire al conflitto una valenza negativa e a dare per scontato che in presenza di conflitto fra due parti una inevitabilmente vinca e l’altra perda, ma in realtà il conflitto è neutro, sta a noi polarizzarlo in positivo o negativo. Questo significa che un conflitto non deve portare necessariamente ad una situazione win-lose, dove uno vince e l’altro perde.
Il conflitto è inevitabile in presenza di diversità (caratteriali, culturali, ecc.) ma porta in sé un forte valenza relazionale, di confronto costruttivo, di ricerca di una soluzione win-win, dove tutti sono vincitori.
Generalmente riteniamo che il conflitto sia negativo e la sua assenza positiva, ma in realtà il conflitto esprime semplicemente una differenza, di conseguenza incontriamo un conflitto ogni volta che incontriamo una differenza, e più ci sarà interazione fra differenze, più ci sarà conflitto. Ma ogni conflitto, proprio in quanto differenza, è fertile e racchiude in sé un grande potenziale di crescita e di arricchimento.
Al contrario, diventa pericoloso quando non lo riconosciamo (o non vogliamo riconoscerlo) come tale, in quanto noi possiamo gestire e risolvere una situazione solo quando la prendiamo in considerazione. Di conseguenza, se neghiamo il conflitto (personale, di coppia, sociale) significa che non lo gestiamo e con il tempo finiamo per trovarci improvvisamente di fronte a qualcosa di immensamente più grande e potenzialmente più violento, e a quel punto davvero difficile da gestire (una coppia dove apparentemente va tutto a gonfie vele e poi da un giorno all’altro si lascia, un collaboratore che si licenzia, una guerriglia urbana solo per citare alcuni possibili scenari).
Il conflitto è fertile, ma non lo è più quando è negato per quieto vivere o quando si tende all’eliminazione del conflitto attraverso la negazione dell’altro. La violenza è la negazione del conflitto e rappresenta la fine dell’interazione tra le differenze.
Caricare il conflitto di valenza positiva non significa quindi annullarlo e vivere in un mondo fittizio dove tutto va bene, così come non significa nemmeno appiattirsi in un canone di uguaglianza imposta e forzata. Significa, al contrario, gestire il conflitto in modo creativo e viverlo per quello che è: un’opportunità fondamentale e preziosa per uscire dal proprio micro-mondo e imparare a considerare più punti di vista, facendo della diversità una diversità che dialoga e che cresce. Insieme.

lunedì 5 marzo 2012

85 minuti al giorno


Una recente indagine condotta dall'Organisation for Economic Co-operation and Development ha messo a confronto i dati raccolti in 21 Paesi, rilevando che in Italia una mamma lavoratrice riesce a trascorrere in media 85 minuti al giorno con il proprio bambino, contro i 124 di una mamma non occupata.
Stando ai dati forniti dall’OECD, in Italia la differenza fra uomini e donne è piuttosto marcata: i papà che lavorano trascorrono con i figli appena 40 minuti al giorno, che arrivano a 49 per quelli non occupati.
Secondo la classifica, le donne che riescono a conciliare meglio lavoro e famiglia sono le Irlandesi, con 150 minuti al giorno, seguite dalle Australiane, a quota 137 minuti. Le mamme di Usa e Canada si collocano a metà classifica (con 94 e 97 minuti rispettivamente), mentre agli ultimi posti troviamo le Ungheresi (39 minuti) e le Coreane (31 minuti).
Per arrivare a questa stima sono stati conteggiati anche i minuti dedicati ai pasti e il tempo libero nei weekend.